(di Biagio Mannino)
Qual è il senso della vita? Adire il vero… non lo so.
No, non lo so.
Quante discussioni ho sentito. Quanti incontri ho visto e a quanti incontri ho partecipato. E ancora lunghe disquisizioni, piacevoli confronti, eleganti chiacchierate, meravigliosi dialoghi intellettuali, tanti soldi spesi nei caffè… e poi, alla fine… niente.
Niente di niente. Assolutamente niente!
Sì, è così. Cercare di capire, di comprendere, di conoscere, di avvicinarsi in qualche modo al significato, a quel senso della vita che, forse, e sottolineo forse, ci caratterizza ed unisce tutti, uomini e piante, animali e ogni genere vivente, sul nostro pianeta e ovunque nel fantastico incomprensibile universo, è, francamente, impossibile ed avvilente.
Quante domande ci poniamo. Quante risposte ci diamo. Forse addirittura, superiori numericamente ma, prive di ogni sostanza.
Perché è questo che cerchiamo alla fine, la sostanza.
La materialità della vita, la visione di una continuità di ciò che abbiamo, di ciò che concepiamo unicamente come essere, quello che vediamo con gli occhi, che sentiamo con le orecchie, che tocchiamo con la nostra mano e… nulla di più.
Un fiore, il mare, le nuvole. Bianche, nere. E la foresta, il canto degli uccelli, la pioggia che cade. E poi il sole al tramonto e la luna luminosa nel cielo.
Una farfalla che vola e un profumo intenso di lavanda.
Bellezza e sensazioni, spettacolo e meraviglia e dietro , però, la vita, quella dell’altro, di quel fiore, di quella farfalla, di quegli uccelli che lottano disperatamente per sopravvivere.
Come non rimanere stupefatti dal vedere un gabbiano che vola libero, alto fino a quel punto in cui il blu del mare e l’azzurro del cielo si incontrano.. E poi vederlo tuffarsi, rapido nell’acqua, per prendere quel pesce. E allora come non fermarsi, almeno un attimo, a pensare che adesso, quel gabbiano, potrà guardare al domani e quel pesce, ora, non c’è più.
Sacrificare o, in parole ben evidenti e crude, uccidere quel pesce, nessuna alternativa a ciò che è.
E così tutto, dove la gioia non c’è se no c’è la tristezza, dove tutto è perché esiste il non è, dove la vita c’è solo perché esiste la morte.
Come sono belle quelle foto della Terra vista dallo spazio. Bellissime ma poi, sotto quei colori bianchi intensi e quel blu del mare e quelle spirali fatte dai venti che muovono tutto, lotta e disperazione, conquista e sconfitta, continuità e conclusione, benessere e dolore, nascita e morte, nel tempo, lungo o breve che sia, istantaneo nel presentare i suoi effetti, le sue conseguenze.
E così camminare in un bosco, in una città, in riva ad un fiume, ovunque, in qualsiasi stagione, in qualsiasi condizione e guardare, osservare e consolarsi con lo stupore di essere partecipi di tutto questo e semplicemente chiedersi… perché.
Partecipi e ammirati, colpiti ed increduli ma niente di più, nessuna illusione perché le illusioni non appartengono a questa manifestazione della realtà.
Capire. Questo grande sforzo che cerchiamo di fare. Questo grande sforzo che cerchiamo di fare, sempre, giorno dopo giorno, sempre.
Capire per vivere, ancora, e ancora e ancora, senza fine, quando poi è un po’ negare il tutto. Semplicemente imbrogliarsi e tentare di imbrogliare.
Domande, confronti, interrogativi di tutti i tipi e poi passare alle ritualità, a tentare di fare per ottenere e non ottenere niente. O, almeno, niente di ciò che vogliamo.
Perché? Per quale motivo?
Esiste un centro? Un punto su cui fare riferimento?
Forse sì. E l’unico che mi viene in mente è quello rappresentato da noi stessi dove, in definitiva, collochiamo il nostro centro dell’universo.
E allora tutto ruota intorno a me, intorno a te, intorno a lui, a lei e poi a Lei e a lei e a lui e, così, intorno a tutti.
No, troppe domande, troppi pensieri, troppa fatica per poi tornare al punto di partenza senza aver ottenuto alcuna risposta all’unica, errata, inutile,domanda: qual è il senso della vita?
