Quando la cinematografia ispira la riflessione: è giusto dare libero sfogo alle emozioni, e lasciare che la giustizia ceda il passo alla vendetta?

Si riporta la lettera come ricevuta.

Quando la cinematografia ispira la riflessione: è giusto dare libero sfogo alle emozioni, e lasciare che la giustizia ceda il passo alla vendetta?

(de Il Grillo Scrivente)

Caro Blogger,

ultimamente ho visto due film, diretti dalla stesso regista. Due trame decisamente molto intense….per usare un eufemismo. Lo stesso tema alla base dei due, ambientati entrambi in America: la vendetta. Nel primo, “Murderock”, un’insegnante di danza, che è divenuta insegnante per “ripiego”, dopo che un motoociclista ha distrutto ogni sua speranza di diventare una famosa ballerina, investendola a due giorni da un’audizione, e lasciandola ferita a terra. Il trauma le fa perdere la ragione e la donna, dopo molti, molti anni, uccide tre sue brillanti allieve che hanno speranza di essere scelte per un importante spettacolo. Nel corso del film si capisce che, in realtà, dopo l’omicidio, ogni volta non ricorda di averle uccise. “Una specie di nevrosi”, la definisce uno dei poliziotti. In pratica è il suo inconscio a guidarla. Il commissario che conduce l’indagine, la definisce una “pazza”. Ma sa, caro Blogger, certamente una persona che si comporta così, ha obiettivamente perso il lume della ragione; ma è giusto limitarsi a definirla “pazza”? O è un po’ più corretto chiedersi fino a dove può portarci il dolore? Quanto infinite e grandi possano essere la conseguenze di un trauma? Soprattutto quando questo ti cambia completamente la vita…

Il secondo film, invece, si chiamava “Aenigma” (e secondo me lo è in tutti i sensi, perché non ho ancora capito il perché di questo titolo): una studentessa diviene oggetto di un brutale scherzo architettato dalle sue compagne di collegio e da un suo insegnante. Lo scherzo (che mi permetto di far rientrare a tutti gli effetti nella categoria del bullismo, perché l’insegnante finge di essere interessato a lei, per poi riderle brutalmente in faccia, assieme ad altri studenti, che si erano nascosti per “godersi lo spettacolo”) porta la ragazza a fuggire nel bosco, inseguita dagli studenti, finendo con l’essere investita. Per essere breve, caro Blogger, si vendicherà ad una ad una di tutte le persone che le hanno fatto questo, primo fra tutti l’insegnante, uccidendoli uno dopo l’altro; fino a quando sua madre, compreso che la scia di morti che si sta susseguendo è opera di sua figlia, la ucciderà, salvando così la vita all’ultima persona che stava per essere uccisa.

Mi si potrà dire “È solo un film…”… Caro Blogger, questo era un film, ma quante persone si ritrovano a subire atti gravi di bullismo nella vita reale?
Quello che io mi domando non è tanto “Era giusto o non era giusto comportarsi in quella maniera?”; non voglio certo istigare ad atti di quel tipo! Ci mancherebbe, per carità! Ma questo mi ha fatto pensare alla “giustizia fai da te”, che, tra l’altro, in Italia ultimamente è sempre più discusso e trattato come argomento in molti video che mi vengono mostrati da Facebook (tempo fa avevo commentato in una lettera il fatto che molti italiani stanno organizzando delle ronde perché sentono il bisogno di difendersi da soli).
Quello che mi ha fatto soprattutto pensare (e su questo ci sarebbe da scrivere libri, non solo una lettera!) è, fino a che punto possiamo parlare di giustizia, e quando invece un’azione diventa vendetta? Qual è la differenza fra le due? Quanto sottile può essere il filo che le divide?
Questo secondo film mi ha spinto ad un’ulteriore riflessione e a dei quesiti di difficile, se non impossibile, risposta: è giusto che delle persone, come descritte nella trama, così malvagie da infierire su una ragazza innocente (soprattutto persone che hanno un ruolo educativo e anche, però, protettivo, come un insegnante!) la passino liscia? Però, dall’altra parte, è giusto dare libero sfogo alle emozioni, e lasciare che la giustizia ceda il passo alla vendetta?

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