Chàos italiano

(di Biagio Mannino)

Chàos! E’ la parola, di origine greca, che meglio identifica la situazione che la politica italiana attraversa.
E’ indubbio che, dal 1992, anno in cui il sistema partitico subiva un forte contraccolpo, periodo storico  ricordato anche come l’epoca di “tangentopoli”, la politica italiana  dovette necessariamente affrontare delle forti modifiche che, a distanza di più di venti anni, non sembrano aver  portato risultati tali da essere giudicati neppure minimamente accettabili.
Se precedentemente al 1992 il sistema parlamentare era caratterizzato da una pluralità di partiti, dopo, questa pluralità è divenuta addirittura una sorta di pluralità estrema, o estremamente caratterizzata da un numero ancor maggiore di forze politiche pronte a darsi battaglia per la conquista di un posto tanto in Parlamento quanto in un Consiglio Regionale, o Comunale o Provinciale.
Prima esistevano partiti come la Democrazia Cristiana, il Partito Liberale, il Partito Repubblicano, il Partito Comunista, il Partito Socialista, il Partito Social Democratico, il Movimento Sociale, il Partito Radicale, alcune piccole forze autonomiste e locali, una tra tutte la Lista per Trieste.
Dopo, nel nome di una sorta di purificazione della politica italiana, si cercò di giungere ad una riduzione dei partiti e il risultato fu che a quelli precedenti seguirono Forza Italia, Alleanza Nazionale, che si unirono poi in Popolo della Libertà, il PDS divenuto DS o meglio Democratici della Sinistra che unendosi alla Margherita divennero il PD ovvero il Partito Democratico, Rifondazione Comunista che si staccò dal Partito Comunista quando questo divenne il Partito Democratico della Sinistra, ma poi, Rifondazione Comunista subì la scissione vedendo la nascita de I Comunisti Italiani. E ancora… il PDL vede il distacco di una componente che diviene la forza denominata Futuro e Libertà e dopo ancora una parte fonda Fratelli d’Italia ed oggi un’ulteriore scissione istituisce il Nuovo Centro Destra mentre il partito dei Verdi, di Rifondazione Comunista e dei Comunisti Italiani trovano una convergenza di idee.     Nasce poi  SEL ovvero Sinistra Ecologia e Libertà che vede in sé il confluire di Sinistra Democratica, del Movimento per la Sinistra, di Unire la Sinistra e di varie associazioni ecologiste. Non possiamo dimenticare il Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo e la Lega Nord frutto  dell’unione della Lega Lombarda e della Liga Veneta, il Partito Radicale, l’UDC, l’UDEUR, l’Italia dei Valori, Scelta Civica… e tanti altri con i quali mi scuso per non averli citati ma, in questo labirinto, è facile perdersi!
Ma perché, anziché una riduzione del numero dei partiti, si è giunti a questo spropositato fenomeno che ci ricorda di più la storia del chicco di riso e della scacchiera?
I sistemi elettorali sono le regole che attribuiscono  posti all’interno delle aule parlamentari o, in ogni caso, attribuiscono la governabilità.
L’Italia, prima del 1992, era caratterizzata dall’avere un sistema elettorale di tipo proporzionale, ovvero tanti posti in parlamento in proporzione ai voti avuti.
Questo sistema implica una certa quantità di partiti poiché basta una piccola percentuale per poter conseguire un numero di posti, seppur minimo, rendendo, di conseguenza, molti i partiti.
Dopo il 1992 la legge elettorale cambiava e, al sistema proporzionale, è subentrato un sistema misto che univa un 75% di maggioritario ad un 25% di proporzionale.
Il sistema maggioritario, per sua natura, porta al bipartitismo, ovvero alla presenza in Parlamento di due sole forze politiche. Ma non bisogna confondere il bipartitismo con il bipolarismo che, di fatto, è un sistema proporzionale mascherato con il suffisso “bi”.
Il fenomeno è dovuto al  fatto che i risultati effettivi ottenuti con la modifica di una legge elettorale, ovvero nel nostro caso la riduzione del numero di partiti, si possono vedere dopo almeno15 anni dall’entrata in vigore della stessa legge.
Il passaggio dal proporzionale al maggioritario porta dal multipartitismo al bipartitismo passando attraverso il bipolarismo poiché, in fase iniziale, tutti i partiti si trovano in una sorta di linea di partenza e seguono un percorso di alleanze, unioni, scissioni, finalizzate a trovare una conformazione unica volta a… vincere le elezioni.
E’ assolutamente naturale assistere ad un aumento del numero dei partiti in attesa che questo si ridimensioni, a meno che…
A meno che, nel mezzo del percorso non ancora concluso di circa 15 anni non si cambi nuovamente la legge elettorale portandone, ad un processo in atto, un altro, aggiungendo soglie di sbarramento e premi di maggioranza confusi che solo in una direzione possono portare. Ma… quale direzione?
In questo momento storico, a distanza di più di 20 anni dall’epoca di tangentopoli, ci troviamo in una situazione che neppure i più esperti in materia elettorale sanno districare.
Il problema è che le leggi elettorali vengono determinate dai partiti stessi e questi prima guardano alle loro effettive possibilità che al corretto funzionamento del sistema e quindi, un partito piccolo sarà interessato ad una legge elettorale di tipo proporzionale mentre uno grande ad una di tipo maggioritario ma senza perdere di vista gli avversari diretti nel rischio di avvantaggiare ora uno, ora un altro e non sé stessi.
Di conseguenza o le leggi non si modificano o sono frutti pasticciati di accordi che, alla fine, non accontentano nessuno soprattutto i cittadini che, di fatto, vivono, o meglio, subiscono le scelte di una politica che si dimostra molto spesso incapace non per le singole competenze dei parlamentari quanto per le alchimie delle aule.
E allora nuovamente il dubbio: verso quale direzione andiamo?
Una sola, verso quella parola antica, quella parola di origine greca, verso il Chàos!

 

Nota: l’immagine in questo post è stata tratta da www. gliannidicarta. it.

I dimenticati

(di Bruno Pizzamei)

I dimenticati: i militari triestini nelle armate imperial regie.

Il 24 maggio 1915, quando iniziarono le ostilità tra l’Italia e gli Imperi Centrali, Trieste era già in guerra da dieci mesi. L’Austria Ungheria era entrata in guerra contro la Serbia, e successivamente contro gli Stati dell’Intesa nel luglio del 1914.Immagine0 Trieste, città immediata dell’Impero, la Contea Principesca di Gorizia e Gradisca e il Margraviato d’Istria costituivano il Litorale (Küstenland), come Provincia amministrativa austriaca.

La stragrande maggioranza dei triestini atti alle armi, quali sudditi austriaci, furono quindi arruolati nell’esercito o nella marina imperial regia (circa 32.500 triestini tra i complessivi 50.000 italiani reclutati nel Litorale).

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I marinai furono imbarcati sulle navi della flotta o destinati ai servizi quali ad esempio quelli presso il K.u.K. Seeflieger Korps , aviazione di marina, nel porto militare di Pola. A parte gli affondamenti delle corazzate Viribus Unitis e Wien, per altro avvenuti in porto, non ci furono grande battaglie navali.

Molti dei soldati furono arruolati nell’ Infanterie Regiment n° 97, Georg Waldstätten , costituto per il 50% da Italiani, per il 30% da Sloveni e per il 20% da Croati provenienti quasi tutti dal Litorale.

Il reggimento partì per il fronte orientale, destinazione Leopoli capoluogo della Galizia, regione attualmente divisa tra Polonia e Ucraina, l’11 agosto 1914.

Immediatamente inviato in combattimento, subì nei sanguinosi scontri con i russi pesanti perdite, pari ad oltre il 50% degli effettivi impiegati.

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Durante la battaglia di Galizia, l’esercito imperial regio subì una serie di gravi sconfitte, e le perdite totali furono pari a 400.000 uomini, quasi la metà delle forze impegnate, tra cui oltre 100.000 prigionieri.

La partecipazione alla guerra dei triestini, avvenuta in seguito ad una mobilitazione di massa, fu molto spesso più rassegnata che convinta, anche se il 97° reggimento, talvolta designato come demoghela (*), in battaglia si comportò dignitosamente ed anche con valore.

Ci fu poi in città una parte molto più convinta, seppur minoritaria, e per certi aspetti elitaria, i volontari irredenti, italiani di cittadinanza austriaca, che esponendosi a rischi gravissimi si arruolarono nell’esercito italiano. I triestini erano circa 1.000 tra i 2.000 circa del Litorale.Immagine4

Cosa rimane come ricordo di quei tantissimi triestini che hanno combattuto nelle forze imperial regie? Non molto, e anche in occasione del centenario dell’inizio della guerra mondiale, se ne è parlato a mio avviso ancora troppo poco.

Ciò è da imputare al fatto che alla fine della guerra, come in tante altre occasioni, la storia venne scritta dal vincitore e quindi a Trieste l’unica memoria possibile è stata, e in parte lo è ancora, quella dei volontari. Si tentò e in parte si riuscì a eliminare le vicende relative a moltissimi triestini che nella guerra avevano combattuto nelle forze imperial regie.

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A fronte dei tanti monumenti e delle numerose intitolazioni di vie e scuole dedicati ai volontari irredenti, per i combattenti a.u. oltre ai cimiteri di guerra nel Carso triestino, goriziano e sloveno, in cui per altro non riposano salme di giuliani, a mia conoscenza esistono: una piccola targa sulle mura del castello di San Giusto, un piccolo monumento a Sistiana e un monumento nel cimitero di Sant’Anna che ricorda, le salme traslate dall’ex cimitero militare, i marinai della corazzata Wien affondata nel golfo di Trieste da Luigi Rizzo il 9.12.1917.

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A riprova di quanto sopra asserito, la prevalenza assoluta di una memoria unica, segnalo il monumento presente nel cimitero di Servola che ricorda le 9 persone morte per gli effetti del bombardamento ad opera dell’aviazione italiana del 20 aprile 1916.

Il monumento costituito da una semplice stele, con i nomi delle vittime civili (tra cui 5 bambini) venne eretto dal Comune di Trieste, senza alcuna indicazione sulle circostanze della morte, sull’epoca, e sugli autori del bombardamento.La stele di Servola è l’unico monumento che ricorda le vittime civili della prima guerra mondiale in provincia di Trieste.

(*) la parola demoghela può significare battiamocela, scappiamo, ma anche diamogliele, picchiamo duro.

Sull’ argomento della rimozione di questi ricordi nel centenario della guerra mondialesi è occupato ampiamente il giornalista e scrittore Paolo Rumiz anche con la pubblicazione del libro Come cavalli che dormono in piedi edito da Feltrinelli.

Si deve poi dar atto all’onorevole Aris Prodani di essere ripetutamente intervenuto alla Camera su questi argomenti presentando un ordine del giorno, accolto come raccomandazione dal Governo, un’interrogazione a risposta scritta al Ministro

della Difesa, al Ministero dei beni Culturali e del Turismo e un intervento in aulaazioni tutte con l’obiettivo di impegnare il governo ad adottare le opportune iniziative per ricordare in modo degno il sacrificio di quei soldati, a lungo dimenticati, caduti combattendo e indossando la divisa, appunto, delle forze armate austro ungariche.

Nel dettaglio con l’interrogazione l’onorevole Prodani chiedeva ai ministri competenti di sapere:

– se intenda reperire e pubblicare lo “Schedario degli italiani delle nuove provincie, già militari nelle forze armate austriache ed austro ungariche, morti in seguito alla guerra” in maniera da agevolare le ricerche e la compilazione dell’elenco di costoro;

– quali provvedimenti intenda adottare, anche di concerto con le Regioni

Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige/Sud Tirol, per incentivare lo studio e le ricerche dei documenti relativi ai fatti accaduti nei territori divenuti italiani e promuovere la conoscenza anche di questa parte della storia;

– se intenda adoperarsi per promuovere la costituzione di una Commissione mista di storici che abbia l’obiettivo di approfondire il periodo in oggetto e giungere alla proposizione di una storia quanto più possibile obbiettiva e condivisa

Avranno finalmente allora i triestini, gli altri cittadini del Litorale e i cittadini del Trentino che hanno combattuto per l’Austria un degno ricordo ?

Bruno Pizzamei

 

Nota: le immagini in questo post sono state fornite dall’autore dello stesso e con la seguente descrizione:

1 Collage autocostruito
2 ArFF-Collezione Bruno Pizzamei
3 ArFF-Collezione Bruno Pizzamei
4 Franco Cecotti Il tempo dei confini Atlante dell’Adriatico nord-orientale nel contesto europeo e mediterraneo 1748 -2008
5 Franco Cecotti Il tempo dei confini Atlante dell’Adriatico nord-orientale nel contesto europeo e mediterraneo 1748 -2008
6 Google Maps(modificata)
7 Foto dell’autore
8 Foto dell’autore
9 Foto dell’autore

La Costituzione Italiana.

(di Anna Piccioni)

Credo sia importante una riflessione sulla Costituzione Italiana dal momento che sia da parte della maggioranza che governa il Paese sia dall’opposizione si sente parlare di Riforma dello Stato: è una prospettiva molto preoccupante. Il clima di quegli anni che hanno visto la nascita della Costituzione sono molto diversi da quelli che stiamo vivendo ora. L’Italia del dopoguerra doveva ricostruire una democrazia che il ventennio fascista aveva cancellato.

L’Assemblea Costituente era formata da uomini che pur mossi da principii diversi, liberali, cattolici, comunisti tutti tuttavia avevano un unico fine: ridare al popolo italiano dignità e fiducia nelle Istituzioni e nella Politica. Parri, Terracini, De Gasperi, Carlo Levi, Calamandrei, Pinkerle e altri misero insieme la loro cultura, i loro valori, le loro esperienze; i loro contributi furono determinanti per l’organizzazione dello Stato.

Gettando uno sguardo sul panorama politico attuale riesce difficile trovare delle personalità con una tale capacità a cui noi tutti possiamo affidare una riscrittura della Costituzione, anche solo la modifica di pochi articoli. La Politica è troppo inquinata da interessi privati, non è più considerata un servizio; il fatto che un numero sempre maggiore di cittadini non partecipa all’unica occasione che vien loro dato di partecipare alla democrazia di uno Stato dando il loro voto, dovrebbe far riflettere. Non basta scendere in piazza, in mezzo alla gente nel periodo elettorale; creare comitati o circoli tematici. E’ una bella cosa, ma poi quando le persone si accorgono che non serve a nulla, abbandonano qualsiasi riunione e non danno più il loro contributo. E così la Democrazia partecipativa finisce.

Un tempo esistevano le scuole di partito, si cominciava dalla gavetta, e se lo si meritava, si faceva “carriera”. In questo modo ognuno poteva sperare, se ne aveva le capacità, di poter un giorno percorrere quella strada. Ora invece degli illustri sconosciuti, nomi decisi dalle segreterie di partito, sono chiamati a ricoprire cariche amministrative o parlamentari senza sapere nemmeno quali siano i loro doveri verso l’elettorato. Ma questo è il risultato per aver voluto far eleggere la cosidetta “società civile”.

E’ necessario ripartire da quel “Patto di civiltà” del 27 dicembre 1947, che si fonda sulla laicità dello Stato, il rispetto, la tolleranza, la solidarietà.

Alla base dello nostra vita sociale ci sono principi morali e giuridici.

L’art. 3 recita “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. e parlando di uguaglianza si intende di fatto non solo di diritto. Probabilmente se ci fosse maggior conoscenza degli articoli fondamentali della Costituzione, i cittadini capirebbero che se si partecipasse e ci si interessasse alla Politica, sarebbero attuati i valori fondamentali della Democrazia.

L’indifferenza verso la Politica danneggia soprattutto lo Stato e lo Stato siamo tutti noi.

ANNA PICCIONI

Nota: l’immagine di questo post è stata tratta da www. villaggiogiovane2010. wordpress. com.