Non c’è due senza tre.

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Giuseppe Conte – Presidente del Consiglio dei Ministri

(di Biagio Mannino)

E così, non c’è due senza tre!
Dopo l’antica, e quasi dimenticata, delusione del berlusconismo, dopo la più recente, e ben presente nella memoria, delusione del renzismo, si avvicina, per gli italiani, la terza delusione: quella del”cinquestelleleghismo”!
Non sono passati molti mesi dalla nascita del Governo giallo – verde, eppure già adesso si avverte che, in sostanza, se queste sono le premesse, tante soddisfazioni non ci saranno.
Prima di tutto bisogna fare l’abitudine ad un cambio di ruoli nel contesto comunicativo.
Berlusconi è stato l’apripista di un nuovo modo di fare politica in Italia. Ha “virtualizzato” la propria presenza continua e totale nel mondo mass mediatico.
Una presenza fatta di un insieme di elementi basati molto sull’immagine e su la costruzione di un messaggio verbale, per così dire, facile da capire, alla portata di tutti ma estremamente povero nei contenuti effettivi e ricco di slogan volti a mettere in evidenza solo ed esclusivamente lui stesso.
Alla strategia dell’identificazione nella sua figura dell’unico punto di riferimento, si aggiunge l’impossibilità di raggiungere gli obbiettivi, nell’interesse di tutti, e sottolineo di tutti gli italiani, causata dagli avversari aventi come unica finalità il suo abbattimento politico.
La tattica dell’odio nei propri confronti, dell’avversione senza alcun motivo effettivo, del fallimento imputabile all’invidia altrui.
Questo sistema, se all’inizio ha funzionato, alla fine ha stancato gli elettori che si sono riversati verso ciò che sembrava nuovo: Matteo Renzi.
Ben poche, però, le differenze.
Se Renzi contrapponeva la giovane età ad una classe politica di tutti gli schieramenti divenuta vecchia e superata, Renzi mostrava solo una sorta di imitazione “alla toscana” del linguaggio politico dello storico leader di Forza Italia.
All’odio verso il leader comparivano, per sostituirlo nell’apparenza ma non nel fine, i “gufi” portatori di sfortuna e causa, nuovamente, del fallimento della propria politica.
Ma, a differenza di Berlusconi, il trascinante termine “rottamazione”, perdeva drasticamente la sua forza quando diveniva irrispettoso strumento di “modernizzazione” del Partito Democratico fino, poi, a travolgere lo stesso Renzi nel momento in cui anch’egli, dopo il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, diveniva sostanzialmente vecchio ma, di fatto, rifiutava la propria rottamazione di fronte ai suoi errori.
Nel mentre l’Italia rimaneva con tutti i suoi problemi senza alcuna effettiva riforma.
Centro destra, centro sinistra… e gli elettori?
Il dirompente Beppe Grillo ormai era affermato così come il Movimento Cinque Stelle. Poche parole, chiare e decise, nella direzione di tutto ciò che la politica faceva e che non avrebbe dovuto fare.
Nulla da dire: quello che gli italiani volevano sentire ma, tra il dire e il fare… si inserisce la Lega, o meglio, Matteo Salvini.
Se la comunicazione di Berlusconi e Renzi era sostanzialmente “da salotto”, Salvini usa tutto ciò che può: televisione, social network, piazza, occasioni di tutti i tipi e, alla fine, ottiene una visibilità tale da oscurare il messaggio dell’intero Movimento Cinque Stelle.
Ma le elezioni del 2018 portano proprio a quell’alleanza giallo – verde di sostanziale rottura ed effettiva novità rispetto al passato post tangentopoli.
E Allora?
Curiosamente, in nuovo Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, non appare quasi mai. Tanto erano presenti Berlusconi e Renzi tanto è assente Conte.
Un difetto?
Certamente no in ambito politico istituzionale, certamente sì in ambito comunicativo contemporaneo.
Ma, a compensarlo, ci pensa Salvini in gran parte e Di Maio… di conseguenza.
Sì, di conseguenza, poiché tra i due inizia quella che sembra essere una sorta di gara a chi parla di più. Al momento la gara la conduce decisamente Salvini ma, alla fine, ne beneficerà?
Se in campagna elettorale la forza di Salvini nell’essere presente ovunque ha garantito un indubbio successo elettorale, adesso gli elettori si aspettano il lavoro e i risultati.
Quello che in molti si chiedono è se questo lavoro, di Ministro degli Interni, possa conciliarsi o meno con la stessa metodologia che Salvini adottava in campagna elettorale poiché, per il momento, nulla sembra essere cambiato.
E nulla sembra essere cambiato anche in previsione del vero lavoro che un Governo deve fare quando, di fronte ad una rivisitazione delle pensioni, si definiscono come “d’oro” quelle che superano i 2000 euro, lordi.
Non inizierà una nuova “guerra” tra poveri dove poi, i soliti privilegiati restano tali e tutti gli altri si trovano punto e accapo?
E così il fenomeno migratorio, dove alla voce grossa non corrisponde un’effettiva politica neppure in ambito internazionale.
Nessuno dice che sia cosa facile ma, non è vero che sia cosa semplice…
Il Movimento Cinque Stelle si mostra nella sua reale difficoltà: quella dell’inesperienza.
Ad un grande risultato elettorale nazionale non trova ancora un radicamento territoriale e si mostra assolutamente impreparato in ambito internazionale, quasi non ne afferrasse l’importanza.
Sono passati i mesi e tutto deve ancora incominciare, ad essere decifrato, compreso. Ma la delusione è già lì.

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NOTA: l’immagine in questo post è stata tratta da www. wikipedia. it.

Migranti o non migranti?

(di Biagio Mannino)

Migrare è una caratteristica del genere umano.
La storia, però, ci insegna come questo fenomeno sia stato, ed è, ricco di difficoltà e di ogni sorta di problema.
Le cause delle migrazioni sono svariate: povertà, siccità, fuga da guerre e persecuzioni, costrizione a lasciare le proprie terre come effetto di particolari decisioni politiche, ma anche conseguenze legate ad accadimenti come terremoti, come cambiamenti climatici, ed anche perché, in determinate aree, c’è richiesta di risorse umane.
Potremmo fare degli elenchi lunghissimi e dividerli per categorie ma, alla fine, il risultato conclusivo è uno solo: andare via.
Se l’atto di partire implica un doloroso passaggio, anche quello dell’arrivare non è dei più semplici. E, come tutte le cose, occorre sempre osservare il tutto da molteplici orizzonti, e, nel nostro caso, sia da quello di chi arriva che da quello di chi ospita.
La storia, come detto, è piena di queste vicende, e molto ci insegna poiché proprio quanto accadde ieri diviene strumento per comprendere oggi ed agire, auspicabilmente, nel modo corretto.
L’attenzione mediatica al fenomeno migratorio contemporaneo si concentra esclusivamente su un unico punto: l’arrivo del migrante.
Non ci si cura delle cause che portano il migrante ad andare via, non ci si cura degli effetti del suo arrivo. Non ci si cura poi di una particolare situazione che mostra nella sua pragmatica efficacia solo due elementi che, se uniti, funzionano in modo sinergico: la politica dell’accoglienza può essere produttiva in stretta collaborazione con la politica dell’integrazione.
Infatti se “accogliere” significa provvedere nell’immediatezza dell’emergenza, altrettanto non si può dire che l’emergenza che stiamo vivendo sia tale. Sono ormai anni che viviamo questo fenomeno e ormai, definirlo “emergenza”, non sembra più essere attuale.
Meglio definirlo come “prassi” e cominciare a lavorare, tutti, europei, per impostare una vera politica di integrazione, anche perché…
Anche perché questo fenomeno, quello migratorio, non sembra poi che non lo si voglia, anzi…
I numeri, a volte, sono molto chiari: la data di riferimento è il 2050. La popolazione mondiale sarà in vertiginoso aumento quasi ovunque e, in particolare, in Africa.
Un esempio per tutti: la Nigeria, dagli attuali 150 milioni di abitanti passerà a 500 milioni di abitanti. Inoltre: il paese più popoloso del mondo sarà l’India con 1 miliardo e 700 milioni di abitanti, relegando la Cina al secondo posto con “solo” 1 miliardo e mezzo di abitanti.
Il contesto globale porterà a grandi masse di popolazioni a spostarsi anche a causa dei cambiamenti climatici e carenze idriche oltre che alimentari.
Dal canto suo, la litigiosa Unione Europea, impegnata più nelle singole politiche degli Stati membri piuttosto che ad una vera politica di insieme, calerà in modo vertiginoso il numero dei suoi abitanti e, ad una popolazione fortemente invecchiata, assocerà una bassa natalità.
L’Italia ha già incominciato, dagli anni ‘90 a unire questi due elementi e, gli effetti, si vedono.
Non è una questione di buoni o cattivi, di destra o sinistra, di ricchi o poveri, ma un’oggettiva trasformazione di una società che non ha più il baricentro in Europa e che, inevitabilmente, deve fare i conti con le proprie responsabilità, del presente e del passato.
Le politiche adottate nel tempo hanno solo rimandato l’effettiva esigenza di affrontare il problema e, politici di ogni colore, in Italia come altrove, si sono curati del momento e non del futuro.
Adesso siamo nel mare Mediterraneo tutti quanti e cerchiamo di non affondare.
Da un lato i migranti con politiche che li costringono ad andare via e l’Europa senza politiche di impostazione di un’intera nuova società figlia dei propri errori.
La Cina, che dal 1997 ha iniziato il suo grande cammino, o meglio, la sua grande corsa, guarda attivamente al domani e già ha incominciato a fronteggiare quell’ipotetico calo demografico che la caratterizzerà nei prossimi decenni.
Se anche quel mondo che definiamo ancora come occidentale, cominciasse a realizzare il proprio ridimensionamento e guardasse ad oriente, a quella Cina contemporanea,come un’esperienza plausibile, forse strategie politiche finalizzate alle generazioni e non agli elettori potrebbero cominciare a vedersi.
Cosa resta invece? Una grande confusione, assenza di idee e strategie, incapacità di vedere come i problemi possano divenire opportunità di sviluppo e modernizzazione di un Continente vecchio in tutti i settori.
E come se non bastasse incomincia a muoversi l’intolleranza.
Una popolazione, quella europea, che non è definibile come “razzista” ma semplicemente in preda ad una depressione sociale di fronte all’incapacità della politica di dare risposte, che sono lì, a portata di mano, a portata di volontà ma che, al contrario si mostra sorda all’urlo del suo popolo, quello europeo.
Ed allora il nemico, come sempre, è l’altro, che impedisce, che porta via che annienta e che viene annientato in un gioco già visto, ovunque nel mondo.
Tedeschi, Italiani e tutti gli altri non hanno ancora compreso di essere Europei e l’utopica Unione Europea da realtà mancata torna ad essere un sogno e… basta.

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NOTA: l’immagine in questo post è opera di Biagio Mannino.

 

Dove regna la Bora.

(di Biagio Mannino)

Edda Vidiz racconta, nei suoi spettacoli, la storia di Trieste.
E lo fa anche con “Dove regna la Bora”, il musical andato in scena ieri sera al Castello di San Giusto di Trieste.
Si parte da lontano, da molto lontano. Si parte con l’abbraccio del mito con la storia, con tutto ciò che è leggenda e con tutto ciò che è realtà, nel tentativo di unire quelle tante e delicate componenti che caratterizzano il contesto di Trieste, nelle sue caratteristiche, nella sua gente o ,meglio, nelle sue genti, nel suo essere plurale.
Bora incontra Tergesteo: nasce quell’unione che diviene traccia, sentiero e poi strada, guida di tutto, punto di osservazione privilegiato, dall’alto, osservatori di vicende sempre difficili, traumatiche ed anche ricche di soddisfazioni, di gloria e poi, di nuovo tragiche. Insomma… Trieste.
L’amore di Bora per Tergesteo, nel momento in cui raggiunge l’apice, cambia in tragedia quando Vento uccide l’Argonauta. Le lacrime di Bora si trasformano per il dolore in bianche pietre e così, come una sorta di compensazione, il sangue della vittima assume toni di estetica bellezza, trasformandosi magicamente in sommacco, che decora in modo meraviglioso il Carso proprio in quei mesi autunnali che, per definizione, anticipano l’inverno scuro, cupo e rigido e lasciano malinconicamente la bella stagione.
Dal mito alla realtà, da Bora e Tergesteo a Trieste e la sua storia.
Inizia la vicenda parallela con Trieste: la nascita e la crescita nella storia fino alla grandezza asburgica, per poi cadere nel suo momento massimo in una rapida discesa a causa di tutto ciò che gli altri le fanno.
Simbolo diviene Massimiliano, immagine del vertice raggiunto e colpito dalle trame di palazzo, ingannato nella vita, ucciso come Tergesteo e Carlotta, in una sorta di compimento di un percorso, impazzisce.
Nascita e morte e poi la benevolenza degli Dei per tornare di nuovo a vivere e continuare il percorso.
Parte dai Castellieri lo spettacolo di Edda Vidiz e si ferma al 1918.
Una scelta forse motivata. Motivata da ciò che il XX secolo ha rappresentato per Trieste, con tutto quello che portò tra guerre e autoritarismi, persecuzioni, vittime e miseria, odi e rancori e dove, poi, alla fine, la città plurale mai accettata da pochi, si identifica non più nelle diversità che l’hanno creata e formata, ma nella presa di consapevolezza che la sua vera essenza sta proprio nell’essere triestini.
Nessuno spirito di parte nel testo teatrale, nessun nazionalismo e nostalgia ma solo rispetto per una storia importante ed un ruolo sempre lì, a portata di mano.
P_20180817_223253Marzia Postogna, Andrea Binetti, Corrado Gulin, Stefania Seculin, Tullio Esopi, Umberto Lupi, Mathia Neglia ed Edy Meola hanno saputo realizzare al meglio questo testo e un plauso particolare va ad Andrea Binetti che ha mostrato le sue indiscusse capacità canore di grande qualità.
Come lo scorso anno, in occasione di Bora Musical Fest, ritengo che questo spettacolo sia meritevole di realizzazione in altri contesti, diversi da quelli dispersivi del Castello di San giusto. Una realizzazione in un ambiente più piccolo, con l’ausilio di un limitato gruppo d’archi e un pianoforte, forse, potrebbe maggiormente valorizzare un’opera sicuramente da presentare anche in occasioni diverse.
Questo è un musical che va letto nel suo significato, al di là di ciò che lo spettatore vede o si aspetta di vedere, in un percorso di conoscenza e comprensione, di acquisizione di una consapevolezza storica ormai alla portata di tutti.

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NOTA: le immagini e i video pubblicati in questo post sono di Biagio Mannino.