“In bona compagnia”: una commedia gradevole.

locandina2(di Biagio Mannino)

“I vostri applausi e le vostre risate sono per noi la più bella soddisfazione!”.
Con queste parole si è conclusa la serata al teatro Silvio Pellico dove è andata in scena “In bona compagnia”, brillante commedia di Alessandra Privileggi e con la regia della stessa autrice.
Una serena valutazione di un’opera teatrale che ha portato, in modo semplice, il sorriso a chi ha avuto modo di assistere alla rappresentazione.
Lo spirito giusto per uno spettacolo leggero e senza molte pretese e per un pubblico che, in questo caso, non poteva ottenere di più.
Una storia che si sviluppa attorno alle aspirazioni teatrali di Andrea Ramani, un giovane attore che decide di andare a vivere da solo. Ma, nella sua casa, presenze di attori del passatolo accompagnano.
Un gioco fatto di intrecci tra l’ironico e il nostalgico, tra la fantasia delle rappresentazioni sceniche e quel desiderio di mantenere sempre viva la memoria del passato.
Tante battute senza esagerazioni e impostate in modo gradevole, quasi gentile, educato.
La capacità degli attori si è vista pur non sbalordendo. Forse mostrandosi in modo discontinuo. Forse senza una piena consapevolezza delle proprie potenzialità.
Il protagonista, il giovane Jacopo Baroni, ha mostrato di tenere molto bene la scena senza mai perdere una battuta ed interpretando al meglio il ruolo. Peccato però che emergesse un pizzico di impostazione di troppo e mancasse un altrettanto pizzico di naturalezza. Sarebbe stato perfetto.
Molto brava Laura Busato, simpatica al punto giusto, consapevole del ruolo e della parte e precisa nei toni richiesti.
Il gruppo degli attori “del passato” ha mostrato, da parte degli interpreti, una piacevole e, direi, professionale interpretazione del loro ruolo. Non solo sono stati in grado di saper creare sul palcoscenico un’atmosfera nostalgica ma anche hanno dato uno spirito da operetta alla loro interpretazione nell’insieme.
Anche la giovane Francesca è stata interpretata molto bene.
Una parola in più merita Miria Levi, sul palcoscenico Rosa Tempesta
Bravissima!
E, “bravissima” è la sola parola con la quale si possa esprimere la sua interpretazione. A volte sono proprio i ruoli minori ad evidenziare la capacità degli attori e, in questo caso, è andata proprio così.
Pochi minuti di recitazione ma vissuti con intensità e mostrando capacità indiscutibili. Ha saputo dare, sebbene in una commedia improntata sulla leggerezza, un valore aggiunto e che delude solo perché la sua interpretazione è durata molto poco.
Alcuni piccoli aspetti vanno in ogni caso sottolineati sia nel contesto recitativo che in quello della regia.
Per quanto riguarda la recitazione c’è una leggera discontinuità in alcuni degli attori. Forse le diverse recitazioni, da un punto di vista qualitativo, mettono in risalto i pregi di alcuni e i difetti di altri vanificando, però, i primi.
Per quanto riguarda la regia, l’entrata delle “presenze” in casa avrebbe meritato degli effetti. Qui non c’erano e questo è stato un vero peccato poiché avrebbe dato sensazioni più vive agli spettatori.
Inoltre c’erano troppi ruoli e, alcuni di questi, pur essendo ben interpretati, erano superflui.
In ogni caso una gradevole commedia che ha messo in evidenza capacità recitative assolutamente valide e meritevoli di essere valorizzate.
Gli applausi e le risate non sono mancate e questo dà grande soddisfazione.

ATTORI E COLLABORATORI: Jacopo Baroni, Lara Busato, Rossana Busato, Eleonora Buzzanca, Mariaelena Feriotto, Giorgio Fonn, Renato Fragiacomo,
Elena Kiss, Miria Levi, Noemi Mauri, Renata Mecchia, Manuela Mizzan, Francesco Molino, Ruggero Pignatelli,
Alessandra Privileggi, Claudia Privileggi, Sara Ruzzier, Alexsander Sovic e con la gentile partecipazione di Roberto Pignataro
scenografie: Roberto Pignataro e Danny Dughieri | costumi: Rossana Busato | luci e fonica: Nicola de Venezia con lo Staff del Pellico
foto e backstage: Arianna Gregorat | video e foto di locandina: Maurizio Bressan.

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10 novembre 2018: Trieste Europea ricorda i caduti Austro – Ungarici.

Trieste - 10 novembre 2018.(di Biagio Mannino)

Erano tanti, tantissimi, i cittadini del Litorale che prestarono servizio durante la Grande Guerra.
Erano soldati dell’esercito e della marina Austro – Ungarica e, in molti, non fecero ritorno.
La Trieste plurale, multi culturale, multi etnica, si muove nella sua storia, attenta e prudente, orgogliosa e spaventata di sé stessa, visibile in ciò che è apparso per cento anni, celata in tutto ciò che è stato per 500 anni.
Austria e poi Austria – Ungheria e poi Italia in un vortice dove tutti erano avvolti quasi la Bora fosse l’unica espressione impetuosa che avrebbe potuto unire i suoi popoli.
Italiani, sloveni, croati, austriaci, greci, ebrei e tanti altri ancora… insomma… triestini, oggi… europei.
Difficile è muoversi nei complessi meandri dell’anima di questa città e di queste terre.
Sì, di queste terre poiché a Trieste si deve aggiungere la Slovenia, la Croazia, parte del Friuli, l’Istria, in tutti i passaggi portati dalle vicende storiche, spostamenti di confini, di popoli che si univano e che poi, qualcuno divideva, o meglio, tentava di dividere.
Il popolo triestino interpretabile come insieme di popoli, con tutte le loro caratteristiche ma che, per il regime post Grande Guerra, quello fascista, non poteva e non doveva essere.
Cancellare, dimenticare. E così quei caduti che si chiamavano Boris, Peter , Aron, Angelo…
Sono passati cento anni dalla fine della Grande Guerra e, in questo periodo, tutto si è fermato ma solo per alcuni poiché tanti, ostinatamente, orgogliosamente, mantenevano il proprio ricordo proprio di Boris, Peter, Aron, Angelo e tutti coloro che furono soldati Austro Ungarici.
Cento anni di memorie celate, nascoste perché era incomprensibile, per le generazioni post 1918, avere famigliari non dalla parte “giusta”.
Il tempo passa e le tensioni si affievoliscono e la curiosità, ma soprattutto il desiderio, porta a riaprire i cassetti lasciati lì, chiusi da anni, appunto, “dimenticati”.
Le foto, ingiallite dal tempo, screpolate nelle loro immagini stinte, quell’uomo, in uniforme, fermo, immobile nella stampa come nel ricordo di sua figlia, qualche lettera, un ricordo , una mostrina e poi la voglia di conoscere e saperne di più.
Trieste fa il salto e diviene Europea proprio perché tragicamente privilegiata dalla sua terribile storia.
Comprende prima degli altri come le contrapposizioni e le strumentalizzazioni di alcuni, alla fine, producano solo dolorosi effetti tra, appunto, i popoli.
Guerre e morti, niente di più: questa è la storia del ‘900.
Oggi, 10 novembre 2018, in Piazza Verdi, a partire dalle ore 10.00, si è tenuta una cerimonia voluta da trenta associazioni.
Ricordare i caduti “dimenticati”. Dimenticati dalla storia, dimenticati per tutto il ‘900 ma, solo in apparenza, perché erano sempre lì.
E ricordando loro non si dimentica Trieste.
Non un ricordo finalizzato a nostalgie imperiali ma semplicemente volto a riconoscere a quelle povere persone che anche loro sono state vittime di drammatiche scelte politiche.
Tanti nomi pronunciati oggi, canti in dialetto triestino, in sloveno, tante lingue, l’italiano, il croato, il tedesco, lo sloveno, il friulano proprio ad evidenziare la natura eterogenea di queste terre e, oggi, orgogliosamente ricordate.
Un’iniziativa dal sapore europeo, dove la storia fatta di storie, dove la cultura fatta di culture, dove tutto è fatto da tutti, si mostra a quella politica che insistentemente guarda ai confini come punti di imprescindibile interesse.
La Grande Guerra ha rappresentato l’inizio del disastro europeo e quell’esperienza ha prodotto ricordi di sofferenza.
Oggi tutto è a disposizione: sarebbe un peccato buttare questa occasione, l’occasione di essere europei.

GUARDA I VIDEO: il discorso di Pierluigi Sabatti, Presidente del Circolo della Stampa di Trieste. Canti in triestino. Canti in sloveno. Ricordo in friulano.

 

spotNOTA: le immagini e i video in questo post sono di Biagio Mannino. Archivio BM – 2018.

Midterm: Donald Trump non perde e… non vince.

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Donald Trump

(di Biagio Mannino)

Le elezioni di midterm sono ormai archiviate e lasciano spazio alle valutazioni prima di manifestare i loro effetti.
Entrambe le parti, quella Democratica e quella Repubblicana festeggiano una propria vittoria ma, in realtà nessuno vince e, al contrario, si preannuncia uno scenario politico di oggettive difficoltà, sia per il Presidente Donald Trump sia per il Partito Democratico che conquista solo una dimezzata capacità di reale opposizione.
Il Congresso USA mostra una sostanziale spaccatura con un Senato controllato dai Repubblicani e la Camera, dove gli elettori hanno affidato la maggioranza ai Liberal.
Insomma, nessuna politica senza l’inevitabile passaggio attraverso il.. compromesso.
Una campagna elettorale difficile ed intensa dove, mai come in questa occasione, sono stati impegnate ingenti somme di denaro. Si parla di oltre sei miliardi di dollari spesi nel tentativo di entrambe le parti di garantirsi la vittoria.
Evidentemente un investimento di scarsa soddisfazione poiché, alla fine, ne è uscito solo un pareggio che, contrariamente alle apparenze, delude tutti ma fa tirare un respiro di solievo proprio a Trump.
La forte opposizione del Partito Democratico, tra le tante cose, più per sopravvivere al tornado “Donald”, puntava anche all’impechment ma, per poterlo ottenere, il controllo di entrambe le Camere del Congresso è imprescindibile.
In questo caso, sebbene la Camera dei Rappresentanti sia sotto il controllo dei blu, un’eventuale iniziativa di messa in stato di accusa del Presidente, si trasformerebbe immediatamente in un fallimento politico prima ed uno comunicativo dopo in vista delle prossime elezioni presidenziali.
Ma anche la politica, i disegni di Trump, ora si bloccano proprio per la diversità di colore assunta dal Congresso e tutto, per lui, diventerà più difficile se non impossibile.
Nessuna blue wave, nessuna red wave
Elezioni che danno molte indicazioni: prima di tutto Trump regge il confronto.
Non perde e mantiene salda la presa nelle simpatie degli elettori americani, in particolare di quelli degli Stati interni.
La capacità, poi, di estremizzazione di determinate situazioni, come, ad esempio, il problema dei migranti in marcia verso il confine statunitense, diviene una formula consolidata nei trucchi politico – elettorali e si dimostra, alla fine, sempre vincente.
Una comunicazione politica che fa sempre effetto quando è la paura ad essere messa al centro dell’attenzione.
Di conseguenza, le elezioni di midtterm divengono secondarie nel loro significato istituzionale e si trasformano in serie di occasioni basilari assumendo il ruolo determinante nel legittimare il Presidente difensore dai rischi.
I Democratici riescono a trovare la spinta che mostra una volontà di ricambio della loro classe dirigenziale e politica dopo l’ormai archiviato tramonto dell’era “Clinton”.
Ma non basta: sebbene molte nuove figure siano emerse, tra le quali donne anche di origini etnicamente differenti, non appare all’orizzonte una figura che sia pronta a divenire l’anti Trump alle prossime elezioni.
Il Partito Democratico affronta una sorta di cambiamento lento e questa occasione ha rappresentato più un test che un’effettiva battaglia politica.
I Democratici alla ricerca di loro stessi che, con questo risultato, devono necessariamente rivedere tutte le loro strategie a cominciare proprio dalla scelta dei protagonisti.
Non appaiono all’orizzonte nomi in grado di competere in vista delle Presidenziali ma, soprattutto, manca quella capacità di riuscire a far convergere le effettive esigenze del popolo americano che, al contrario ha visto e continua a vedere proprio in Donald Trump il riferimento unico e veritiero.
Adesso la campagna elettorale midterm è finita ma,contemporaneamente, continua poiché i giochi divengono sempre più duri nel complesso sistema americano fatto di competizioni tra partiti e di competizioni nei partiti in vista delle Presidenziali.
The show go on.

spotNOTA: le immagini in questo post sono state tratte dalla rete interne attraverso Google immagini.