Trieste 3 – 4 novembre 2018: catarsi di un secolo di storia.

dig(di Biagio Mannino)

Due giornate impegnative: il corteo di CasaPound e, in contemporanea, quello della Rete antifascista ed antirazzista. Il giorno dopo la visita del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per le celebrazioni del centesimo anniversario del 4 novembre..
Non è facile riuscire a descrivere al meglio tutti questi eventi poiché i significati e i simbolismi si scontrano tra quelli che appaiono e quelli che restano, celati nelle parole tra pochi.
Diviene così complesso inerpicarsi nei percorsi della comprensione di ciò che effettivamente accadde e ciò che continua ad essere portato avanti ancora oggi.
Non pochi sono i triestini che si pongono l’interrogativo sull’effettivo significato di questo anniversario: la celebrazione di cosa? Della vittoria o della fine della guerra?
Non è una distinzione da poco se resa attuale al periodo contemporaneo dove, proprio il concetto di Europa diviene, allo stesso tempo, dominante e debole.
mde“Vittoria” di una guerra che causò centinaia di migliaia di morti, di feriti, di mutilati, di sofferenze e che, di fatto, rappresentò l’anticamera del fascismo e di tutto ciò che seguì.
“Fine” di una guerra che impoverì’ tutti, che lasciò milioni di morti, che distrusse i territori, che abbatté l’Europa prima nel mondo con la semplice, ma incomprensibile, formula dell’autodistruzione.
Svariati epicentri di questo terremoto ed uno era proprio Trieste.
A cento anni di distanza le valutazioni storiche del passato lasciano spazio a quelle più moderne e realiste, più rilassate grazie anche a quell’Europa divenuta, nel frattempo, Unione Europea e che, con la caduta dei confini, mai come oggi (con tante difficoltà) parla, o dovrebbe parlare… europeo.
Ma per quanto?


Sembra, sotto certi aspetti, andando ad analizzare a fondo il contesto, di rivivere parzialmente quei momenti che precedevano il 1914 e la tensione nazionalistica si mostra, ieri come oggi, sempre pronta a prevalere in una direzione incognita.
Trieste simbolo del terribile ‘900, con le sue vittime, molte, e i suoi vincitori, pochi.
E la storia continua: il 3 novembre 2018, giorno dedicato al Santo Patrono della città, San Giusto, si tiene il corteo di CasaPound.
Una scelta che, come sempre, pone Trieste come elemento simbolico di una contrapposizione più estesa.
Diviene ulteriore simbolo. Simbolo di una italianità così forte da richiedere l’introduzione nel vocabolario di un termine nuovo. Trieste infatti è… italianissima.
Ma a CasaPound ha risposto la contromanifestazione antifascista ed antirazzista, che ha portato in piazza migliaia di persone, decisamente molte di più dell’altro corteo.
Una festa di colori e di gente che diceva NO al modo di interpretare il mondo come nel passato.


Quello che non poteva non essere osservato, ed in stretta relazione con quanto sopra detto, era vedere come tra i componenti del corteo di CasaPound ci fossero ben pochi triestini mentre, al contrario, nell’altro corteo, erano quasi tutti triestini, inclusi quelli nuovi, dal colore della pelle diverso ma ormai destinati a divenire cittadini di Trieste, città multietnica e multiculturale da sempre.
La visita del Presidente Mattarella si è svolta molto tranquillamente e, tutto sommato, anche in breve tempo.
Adesso che sono passati cento anni è giunto il momento di incominciare.
Sì, di incominciare, poiché da quel 1914, con l’attentato a Francesco Ferdinando, tutto ebbe una conseguenza: la Grande Guerra, i totalitarismi, la Seconda Guerra Mondiale, la Guerra Fredda, la fine di quell’Europa. Milioni di morti, persecuzioni, bombardamenti, campi di concentramento, bombe atomiche, distruzioni di ogni genere, esodi di popoli interi. E dopo il crollo del Muro di Berlino, e l’Unione Europea.
Sì, adesso si può incominciare e Trieste può serenamente guardarsi indietro e l’Italia e l’Europa guardare a Trieste.

spotNOTA: foto e video in questo post sono tratti dall’archivio BM – 2018.

INTRIGO: L’Armonia inizia nel migliore dei modi!

foto(di Biagio Mannino)

La nuova stagione de L’Armonia apre nel migliore dei modi.
“Intrigo” è la prima di dieci rappresentazioni che caratterizzano il teatro dialettale Silvio Pellico.
Un giallo vivace, con molti colpi di scena e ricco anche di battute che fanno sì che questo spettacolo mantenga tutti attenti alle vicende, senza mai stancarsi di quanto accade sul palcoscenico.
“Intrigo” è un brillante adattamento in dialetto triestino che Riccardo Fortuna ha pregevolmente realizzato.
Il testo originale, “Giallo canarino” di Mario Pozzoli, non poteva ottenere una migliore trasposizione dialettale poiché l’uso dello specifico tipo di triestino che viene adottato, rende la commedia una sorta di vera e propria occasione per gli attori di mostrare le loro effettive e reali capacità.
Infatti ormai siamo abituati a vedere come , per conquistare il pubblico, ci sia sempre di più la tendenza ad utilizzare battute aride, povere parole condite da espressioni gergali ma che spesso raccolgono la risata facile e permettendo agli attori di, per così dire, cavarsela con poco.
Qui no.
Il dialetto è bello, fluido, educato, senza alterazioni o scorciatoie.
E sta agli attori la fatica di catturare il pubblico.
Non ci sono dubbi: ci riescono perfettamente sotto l’attenta regia dello stesso Riccardo Fortuna.
Un giallo, come detto, dove al desiderio di ritorno ai fasti lontani di uno scrittore di sceneggiature si aggiungono complotti e dove regna continuamente la sfiducia nell’altro e un forte senso di individualismo confermato da una conclusione che sorprende.
Roberto Creso, Monica Parmegiani, Gabriella Giordano, Claudio Zatti e Gianfranco Pacco sono gli interpreti di questa commedia piacevole e brillante.
In particolare a Roberto Creso va un applauso ulteriore per la sua capacità di aver saputo tenere al meglio tutta la vicenda nel suo importante ruolo del commediografo Michele Kuhar.
Non un errore, un’imperfezione o una mancanza di concentrazione. Un’interpretazione del ruolo pressoché perfetta con un uso della voce convincente ed all’altezza.
Monica Parmegiani, poi, si è dimostrata, come in altre occasioni, una attrice veramente capace e molto brava! Il cambio di personalità nel corso della sua interpretazione, da vittima a complottista, è stato perfetto senza un minimo cenno di indecisione.
Anche lei ha avuto la capacità di far un uso del dialetto in modo gradevole senza alcun accentazione esagerata e forzata.
Roberto Creso e Monica Parmegiani, assieme, hanno reso al meglio anche in quelle scene che maggiormente mostravano momenti di drammaticità.
Anche Gabriella Giordano, Claudio Zatti e Gianfranco Pacco hanno interpretato molto bene i loro ruoli.
Insomma, uno spettacolo bello, curato negli allestimenti e che ha visto anche un’ampia partecipazione di pubblico.
L’Armonia incomincia con il piede giusto!

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