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Trieste, 18 settembre 1938.

1(di Biagio Mannino)

Era gremita quel giorno, fino all’incredibile, quella piazza che, pochi anni prima, si chiamava piazza Grande.
L’attuale piazza Unità d’Italia venne addirittura modificata nel suo assetto estetico divenendo nera per l’asfalto al fine esclusivo di accogliere lui, il Duce, Benito Mussolini che, con tutti i più noti gerarchi del fascismo, decise che proprio a Trieste dovessero essere presentate quelle leggi. Sì, quelle leggi che avrebbero dato il via all’essenza razzista del regime.
200 mila persone tra la piazza e le vie limitrofe, sulle rive, ovunque per Mussolini che, dal balcone del Comune, tenne il suo discorso, quel discorso.
Non una scelta a caso: doveva essere Trieste il luogo con la “L” maiuscola ideale per la proclamazione di quelle leggi destinate a macchiare la storia e, di conseguenza, Trieste.
“L’italianissima” città era nella sua natura multi etnica, multi religiosa e multi culturale e, proprio da qui, doveva nascere quel percorso di purificazione della razza italica.
La Trieste di tutti i popoli europei diveniva lo scenario adatto dell’Europa degli anni ‘30, quella di Hittler e, appunto, Mussolini.
Inizia un percorso che proprio da quel 18 settembre, dava il via ad un impressionante declino fino alla violenza estrema della guerra e di tutte le terribili persecuzioni.
Anche il Re diviene protagonista del disastro, protagonista anche lui, Vittorio Emanuele III che nulla fece, pur potendolo, per impedirne il grave passo e firmando le stesse leggi poneva fine alla dinastia dei Savoia.
18 settembre 1938 – 18 settembre 2018. sono passati 80 anni dalla proclamazione delle leggi razziali. Un percorso tra luglio e novembre di quell’anno che, poi, si tradusse in una serie di decreti convertiti in leggi in cui gli ebrei venivano esclusi dalla vita attiva dell’Italia: dai loro incarichi e lavori negli enti pubblici, ma anche in tutti quegli enti privati di rilevanza economica e finanziaria come banche ed assicurazioni. Venivano privati di beni immobili e patrimoni mobiliari oltre ad essere colpiti anche nella vita affettiva, personale e privata, con il divieto di matrimonio con cittadini / e italiani.
Inevitabilmente molti dovettero lasciare l’Italia e la dicitura “di razza ebraica” appariva in appositi elenchi.
A 80 anni di distanza, quanto accadde quel giorno, si rivela fondamentale nel ricordarlo non solo perché doveroso, ma anche perché esperienze di quel tipo devono, o dovrebbero servire ad esempio poiché la storia non si ripeta e così gli errori dei suoi protagonisti.
Eppure parole come queste, scritte, appaiono scontate ma, in un modo o nell’altro, la storia si rivela come essere una maestra di vita molto poco ascoltata.
Non mancano oggi le polemiche ed appaiono quanto mai inopportune di fronte alle giuste attenzioni portate nel ricordo di quell’evento. L’atto del ricordare, che non ha e non deve avere colori politici, deve essere accettato da tutti per ciò che quel giorno fu, poiché ha rappresentato un crimine verso l’umanità tutta.

I CONTENUTI DELLA LEGGE:

il divieto di matrimonio tra ebrei ed italiani
divieto per gli ebrei di avere dipendenti di razza ariana
divieto di accesso a qualsiasi attività lavorativa presso enti pubblici o privati ad interesse pubblico come banche ed assicurazioni
divieto di trasferimento nel territorio italiano per ebrei stranieri
divieto di esercitare il ruolo di tutore di minori
per quegli ebrei che avevano acquisito la cittadinanza italiana dopo il 1919 questa veniva a decadere
alle scuole pubbliche era fatto divieto di utilizzare testi di studio ai quali avesse partecipato alla stesura un ebreo
divieto di essere proprietari di terreni o di fabbricati superiori a determinati parametri
il divieto di svolgere il servizio militare
divieto di essere titolari di aziende dichiarate di interesse per la difesa nazionale
tutte le professioni intellettuali e, in particolare, quelle di notaio e giornalista, erano interdette agli ebrei
i ragazzi di origine ebraica erano interdetti dal frequentare la scuola pubblica
Obbligo di annotazione dello stato di razza ebraica nei registri dello stato civile valido per tutti gli ebrei.

UNA NOTA DI MUSICA IN UN PERIODO OSCURO: YOUKALI .

L’Europa degli anni ‘30 è alla ricerca di un rifugio dal buio che la caratterizza.
Nel 1934n Adolf Hitler assume il potere assoluto in Germania e nel 1935 vengono approvate le leggi razziali tedesche.
Nel 1934 la notte dei lunghi coltelli e nel 1939 la Notte dei Cristalli…

Un luogo ideale dove rifugiarsi è Youkali, il posto dove scappare da tutto quello che accade.
Youkali: testo scritto dal francese Roger Fernay nel 1935 su musica di Kurt Weill ma modificata poiché Kurt Weill la scrisse per l’adattamento teatrale del romanzo “Marie Galante” del 1931 di Jaques Deval.
Era un tango che con quell’adattamento a Youkali, assunse subito un valore ed un significato profondo. La ricerca di un mondo diverso “L’isola che non c’è” la terra desiderata e diversa dalla realtà.

ascolta Youkali interpretata da Shara Worden:

spotNOTA: il video in questo post è stato tratto da www. YouTube. it-

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Non c’è due senza tre.

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Giuseppe Conte – Presidente del Consiglio dei Ministri

(di Biagio Mannino)

E così, non c’è due senza tre!
Dopo l’antica, e quasi dimenticata, delusione del berlusconismo, dopo la più recente, e ben presente nella memoria, delusione del renzismo, si avvicina, per gli italiani, la terza delusione: quella del”cinquestelleleghismo”!
Non sono passati molti mesi dalla nascita del Governo giallo – verde, eppure già adesso si avverte che, in sostanza, se queste sono le premesse, tante soddisfazioni non ci saranno.
Prima di tutto bisogna fare l’abitudine ad un cambio di ruoli nel contesto comunicativo.
Berlusconi è stato l’apripista di un nuovo modo di fare politica in Italia. Ha “virtualizzato” la propria presenza continua e totale nel mondo mass mediatico.
Una presenza fatta di un insieme di elementi basati molto sull’immagine e su la costruzione di un messaggio verbale, per così dire, facile da capire, alla portata di tutti ma estremamente povero nei contenuti effettivi e ricco di slogan volti a mettere in evidenza solo ed esclusivamente lui stesso.
Alla strategia dell’identificazione nella sua figura dell’unico punto di riferimento, si aggiunge l’impossibilità di raggiungere gli obbiettivi, nell’interesse di tutti, e sottolineo di tutti gli italiani, causata dagli avversari aventi come unica finalità il suo abbattimento politico.
La tattica dell’odio nei propri confronti, dell’avversione senza alcun motivo effettivo, del fallimento imputabile all’invidia altrui.
Questo sistema, se all’inizio ha funzionato, alla fine ha stancato gli elettori che si sono riversati verso ciò che sembrava nuovo: Matteo Renzi.
Ben poche, però, le differenze.
Se Renzi contrapponeva la giovane età ad una classe politica di tutti gli schieramenti divenuta vecchia e superata, Renzi mostrava solo una sorta di imitazione “alla toscana” del linguaggio politico dello storico leader di Forza Italia.
All’odio verso il leader comparivano, per sostituirlo nell’apparenza ma non nel fine, i “gufi” portatori di sfortuna e causa, nuovamente, del fallimento della propria politica.
Ma, a differenza di Berlusconi, il trascinante termine “rottamazione”, perdeva drasticamente la sua forza quando diveniva irrispettoso strumento di “modernizzazione” del Partito Democratico fino, poi, a travolgere lo stesso Renzi nel momento in cui anch’egli, dopo il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, diveniva sostanzialmente vecchio ma, di fatto, rifiutava la propria rottamazione di fronte ai suoi errori.
Nel mentre l’Italia rimaneva con tutti i suoi problemi senza alcuna effettiva riforma.
Centro destra, centro sinistra… e gli elettori?
Il dirompente Beppe Grillo ormai era affermato così come il Movimento Cinque Stelle. Poche parole, chiare e decise, nella direzione di tutto ciò che la politica faceva e che non avrebbe dovuto fare.
Nulla da dire: quello che gli italiani volevano sentire ma, tra il dire e il fare… si inserisce la Lega, o meglio, Matteo Salvini.
Se la comunicazione di Berlusconi e Renzi era sostanzialmente “da salotto”, Salvini usa tutto ciò che può: televisione, social network, piazza, occasioni di tutti i tipi e, alla fine, ottiene una visibilità tale da oscurare il messaggio dell’intero Movimento Cinque Stelle.
Ma le elezioni del 2018 portano proprio a quell’alleanza giallo – verde di sostanziale rottura ed effettiva novità rispetto al passato post tangentopoli.
E Allora?
Curiosamente, in nuovo Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, non appare quasi mai. Tanto erano presenti Berlusconi e Renzi tanto è assente Conte.
Un difetto?
Certamente no in ambito politico istituzionale, certamente sì in ambito comunicativo contemporaneo.
Ma, a compensarlo, ci pensa Salvini in gran parte e Di Maio… di conseguenza.
Sì, di conseguenza, poiché tra i due inizia quella che sembra essere una sorta di gara a chi parla di più. Al momento la gara la conduce decisamente Salvini ma, alla fine, ne beneficerà?
Se in campagna elettorale la forza di Salvini nell’essere presente ovunque ha garantito un indubbio successo elettorale, adesso gli elettori si aspettano il lavoro e i risultati.
Quello che in molti si chiedono è se questo lavoro, di Ministro degli Interni, possa conciliarsi o meno con la stessa metodologia che Salvini adottava in campagna elettorale poiché, per il momento, nulla sembra essere cambiato.
E nulla sembra essere cambiato anche in previsione del vero lavoro che un Governo deve fare quando, di fronte ad una rivisitazione delle pensioni, si definiscono come “d’oro” quelle che superano i 2000 euro, lordi.
Non inizierà una nuova “guerra” tra poveri dove poi, i soliti privilegiati restano tali e tutti gli altri si trovano punto e accapo?
E così il fenomeno migratorio, dove alla voce grossa non corrisponde un’effettiva politica neppure in ambito internazionale.
Nessuno dice che sia cosa facile ma, non è vero che sia cosa semplice…
Il Movimento Cinque Stelle si mostra nella sua reale difficoltà: quella dell’inesperienza.
Ad un grande risultato elettorale nazionale non trova ancora un radicamento territoriale e si mostra assolutamente impreparato in ambito internazionale, quasi non ne afferrasse l’importanza.
Sono passati i mesi e tutto deve ancora incominciare, ad essere decifrato, compreso. Ma la delusione è già lì.

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NOTA: l’immagine in questo post è stata tratta da www. wikipedia. it.

Migranti o non migranti?

(di Biagio Mannino)

Migrare è una caratteristica del genere umano.
La storia, però, ci insegna come questo fenomeno sia stato, ed è, ricco di difficoltà e di ogni sorta di problema.
Le cause delle migrazioni sono svariate: povertà, siccità, fuga da guerre e persecuzioni, costrizione a lasciare le proprie terre come effetto di particolari decisioni politiche, ma anche conseguenze legate ad accadimenti come terremoti, come cambiamenti climatici, ed anche perché, in determinate aree, c’è richiesta di risorse umane.
Potremmo fare degli elenchi lunghissimi e dividerli per categorie ma, alla fine, il risultato conclusivo è uno solo: andare via.
Se l’atto di partire implica un doloroso passaggio, anche quello dell’arrivare non è dei più semplici. E, come tutte le cose, occorre sempre osservare il tutto da molteplici orizzonti, e, nel nostro caso, sia da quello di chi arriva che da quello di chi ospita.
La storia, come detto, è piena di queste vicende, e molto ci insegna poiché proprio quanto accadde ieri diviene strumento per comprendere oggi ed agire, auspicabilmente, nel modo corretto.
L’attenzione mediatica al fenomeno migratorio contemporaneo si concentra esclusivamente su un unico punto: l’arrivo del migrante.
Non ci si cura delle cause che portano il migrante ad andare via, non ci si cura degli effetti del suo arrivo. Non ci si cura poi di una particolare situazione che mostra nella sua pragmatica efficacia solo due elementi che, se uniti, funzionano in modo sinergico: la politica dell’accoglienza può essere produttiva in stretta collaborazione con la politica dell’integrazione.
Infatti se “accogliere” significa provvedere nell’immediatezza dell’emergenza, altrettanto non si può dire che l’emergenza che stiamo vivendo sia tale. Sono ormai anni che viviamo questo fenomeno e ormai, definirlo “emergenza”, non sembra più essere attuale.
Meglio definirlo come “prassi” e cominciare a lavorare, tutti, europei, per impostare una vera politica di integrazione, anche perché…
Anche perché questo fenomeno, quello migratorio, non sembra poi che non lo si voglia, anzi…
I numeri, a volte, sono molto chiari: la data di riferimento è il 2050. La popolazione mondiale sarà in vertiginoso aumento quasi ovunque e, in particolare, in Africa.
Un esempio per tutti: la Nigeria, dagli attuali 150 milioni di abitanti passerà a 500 milioni di abitanti. Inoltre: il paese più popoloso del mondo sarà l’India con 1 miliardo e 700 milioni di abitanti, relegando la Cina al secondo posto con “solo” 1 miliardo e mezzo di abitanti.
Il contesto globale porterà a grandi masse di popolazioni a spostarsi anche a causa dei cambiamenti climatici e carenze idriche oltre che alimentari.
Dal canto suo, la litigiosa Unione Europea, impegnata più nelle singole politiche degli Stati membri piuttosto che ad una vera politica di insieme, calerà in modo vertiginoso il numero dei suoi abitanti e, ad una popolazione fortemente invecchiata, assocerà una bassa natalità.
L’Italia ha già incominciato, dagli anni ‘90 a unire questi due elementi e, gli effetti, si vedono.
Non è una questione di buoni o cattivi, di destra o sinistra, di ricchi o poveri, ma un’oggettiva trasformazione di una società che non ha più il baricentro in Europa e che, inevitabilmente, deve fare i conti con le proprie responsabilità, del presente e del passato.
Le politiche adottate nel tempo hanno solo rimandato l’effettiva esigenza di affrontare il problema e, politici di ogni colore, in Italia come altrove, si sono curati del momento e non del futuro.
Adesso siamo nel mare Mediterraneo tutti quanti e cerchiamo di non affondare.
Da un lato i migranti con politiche che li costringono ad andare via e l’Europa senza politiche di impostazione di un’intera nuova società figlia dei propri errori.
La Cina, che dal 1997 ha iniziato il suo grande cammino, o meglio, la sua grande corsa, guarda attivamente al domani e già ha incominciato a fronteggiare quell’ipotetico calo demografico che la caratterizzerà nei prossimi decenni.
Se anche quel mondo che definiamo ancora come occidentale, cominciasse a realizzare il proprio ridimensionamento e guardasse ad oriente, a quella Cina contemporanea,come un’esperienza plausibile, forse strategie politiche finalizzate alle generazioni e non agli elettori potrebbero cominciare a vedersi.
Cosa resta invece? Una grande confusione, assenza di idee e strategie, incapacità di vedere come i problemi possano divenire opportunità di sviluppo e modernizzazione di un Continente vecchio in tutti i settori.
E come se non bastasse incomincia a muoversi l’intolleranza.
Una popolazione, quella europea, che non è definibile come “razzista” ma semplicemente in preda ad una depressione sociale di fronte all’incapacità della politica di dare risposte, che sono lì, a portata di mano, a portata di volontà ma che, al contrario si mostra sorda all’urlo del suo popolo, quello europeo.
Ed allora il nemico, come sempre, è l’altro, che impedisce, che porta via che annienta e che viene annientato in un gioco già visto, ovunque nel mondo.
Tedeschi, Italiani e tutti gli altri non hanno ancora compreso di essere Europei e l’utopica Unione Europea da realtà mancata torna ad essere un sogno e… basta.

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NOTA: l’immagine in questo post è opera di Biagio Mannino.

 

Tutti un po’ Marchionne.

sergio-marchionne-morto-malattia(di Biagio Mannino)

Come valutare tutto quello che è stato detto e scritto su Sergio Marchionne?
Se consideriamo i commenti di pochi anni fa, Marchionne veniva visto come un manager estremamente deciso e sostanzialmente in antitesi con tutti: il portatore degli interessi degli industriali e di quelli oltre oceano.
A sentire le opinioni di questi giorni, invece, la figura di Marchionne appare trasformata, un grande italiano che ha saputo non solo salvare la FIAT ma anche renderla il settimo gruppo automobilistico mondiale ed azienda di chiara presenza internazionale.
Che Marchionne sia stato un grande manager non ci sono dubbi ma, di chi abbia maggiormente curato gli interessi… ci sarebbe molto da discutere.
Quello che colpisce è la copertura mediatica che le vicende tristi e naturali come, appunto, la scomparsa del manager, hanno avuto.
Un’attenzione e, in particolare, un’attesa all’evento, accompagnato da valutazioni assolutamente positive non solo sulla persona ma anche su tutto il suo operato e vedendo nella sua prossima uscita di scena, la perdita di un ruolo raggiunto ed elevato di un intero Paese: l’Italia.
Se leggiamo i numerosi tweet che apparivano sulla rete , è unanime la considerazione dell’importanza basilare del suo ruolo e appare evidente lo sconcerto e l’incertezza per il futuro di uno Stato privato di una delle più valide figure.
Però, pochi anni prima, i contrasti sindacali erano forti così come quelli con parte della politica italiana e non erano pochi i sospetti sul futuro industriale quando alleanze produttive venivano allacciate con aziende USA e trasferimenti venivano effettuati.
Quel ruolo della produzione automobilistica in Italia trovava più che un consolidamento, un risultato di sopravvivenza in un mercato che spostava altrove gli effetti decisionali e relegava Torino ad un ruolo marginale e secondario.
Un ruolo marginale e secondario che sembra trovare oggi la consapevolezza quando, di fronte al dopo, gli interrogativi sono sempre di più sul concreto interesse produttivo nell’Italia di FIAT, Alfa Romeo, Ferrari e tanti altri ancora.
Sì, Marchionne ha salvato un gruppo automobilistico rendendolo effettivamente internazionale ma, l’internazionalità, diviene fonte di gioie e di dolori quando la produttività, la ricerca e le decisioni si collocano in ambito… internazionale.
Le vicende della politica italiana contemporanee evidenziano una sorta di cambiamento che pone le forze politiche degli ultimi venti anni, di fronte al ciclone Lega – Movimento Cinque Stelle.
Indubbio è il passaggio a modi di gestione della politica in esercizi decisamente differenti e, quel tradizionale consolidamento che le forze politiche trovano nelle strutture periferiche emarginali, si scontra con il nuovo.
Progressisti o meno, alla fine, divengono espressione di un’unica visione che possiamo definire come conservatrice e, di fronte, al nuovo, che per definizione è incognito, la figura di riferimento è necessaria ad un sistema che lascia il passo.
Marchionne diviene così la figura che unisce le forze di Governo precedenti, che, sebbene in antitesi nel passato, trovano nella necessaria unione un salvagente al cambiamento.
Di conseguenza, Marchionne unisce nelle diversità e assume il ruolo di collante per una classe politica di tipo tradizionale, conservatrice e trasversale.
Vero è, poi, che arrivano i “parenti” di cui non si sapeva nemmeno l’esistenza e, di fronte all’ondata mediatico espressiva, quella figura diviene un po’ per tutti fonte di adeguamento, considerazione, autovalutazione, autostima, possibilità di apparire e tanto altro ancora, ma… null’altro.
E così Marchionne assume un ruolo non voluto, da lui non richiesto, attribuito da altri e si trasforma come un camaleonte divenendo, a seconda dei casi, italiano, canadese, abruzzese, istriano, cugino e, sicuramente ancora qualche cos’altro, a seconda di chi sarà più bravo nel sapere cercare.
Ma, alla fine, qual’è il giudizio effettivo su Marchionne?

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NOTA: l’immagine in questo post è tratta dal sito www. tpi. it.

Migrazioni.

 

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il mare al tramonto. foto BM 2015

(di Anna Piccioni)

La migrazione non deve essere un problema, ma un fenomeno, che caratterizza il nostro essere umanità. Lo ius migrandi, rientra nei diritti di ognuno, la storia ci dimostra che fin dall’antichità l’umanità è migrante. Certamente le ragioni che spingono un popolo a spostarsi sono varie, e anche molto drammatiche. Per lo più la ragione principale è la sopravvivenza:ci si sposta per fame ,per pericolo per la propria vita e per salvare i propri figli.
Forse un tempo la vista del migrante, pellegrino era maggiormente sopportata; anzi poteva essere considerato portatore di novità. Oggi invece il migrante è criminalizzato, è un potenziale stupratore, assassino ladro,comunque un estraneo che viene a destabilizzare un sistema di comunità in cui tutti i componenti si riconoscono.
Nel 1989 fu abbattuto il muro di Berlino; da quel momento si ruppe la contrapposizione tra due mondi,quello capitalistico e quello socialista, ma si eresse una barriera insormontabile tra il Nord e il Sud del mondo. Un Nord industrializzato, moderno, evoluto, in continuo progresso alimentato dallo sfruttamento del Sud del mondo. Inevitabilmente questo sfruttamento “illimitato” porta a una depredazione di risorse naturali e umane costringendo masse enormi a migrare per cercare luoghi migliori. La migrazione di oggi è una conseguenza della modernità. E allora gli Stati -nazione erigono alti muri per tenere lo straniero fuori, ma anche per rinchiudersi all’interno. Lo Stato elemento stabile si contrappone alla mobilità. Lo Stato difende un sistema consolidato, in cui i cittadini si riconoscono, dallo straniero .L’equilibrio che si vuol mantenere è determinato soprattutto dal “benessere” che quella comunità ha raggiunto.
Le frasi più comuni per fomentare l’avversione,se non addirittura la paura, verso i migranti, gli altri, loro, è far credere che “ci portano via il lavoro…pretendono di avere la casa gratis…ricevono 35 euro al giorno…etc.etc.”, l’ultima in ordine di tempo “ costringono i nostri giovani ad emigrare per lavoro.” I giovani emigrano in altri Paesi d’Europa dove vengono giustamente riconosciuti per merito, capacità e competenza, valori che purtroppo in Italia si sono perduti.
Questo sistema di intolleranza va contro tutti i principi civili e umani dell’accoglienza, della pietas,
E tutto questo mette in evidenza la contraddizione del concetto stesso di democrazia: rispetto dei diritti umani e rifiuto dello ius migrandi: “La democrazia s’infrange alla frontiera” (Stranieri residenti – di Donatella Di Cesare)
Il mondo sta cambiando e il cambiamento non si può fermare , le previsioni per i prossimi anni non sono molto positive: aumento demografico nei Paesi poveri, calo demografico nei Paesi industrializzati; ci aspetta una rivoluzione antropologica, che non sarà possibile fermare. Forse invece di preoccuparci di come sarà la popolazione nel giro di pochi decenni, dovremmo preoccuparci dell’avanzare della tecnologia, della robotica.
I Robot tra poco sostituiranno l’umanità intera.

L’Italia entra nell’era della comunicazione politica “preventiva”.

 

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Giuseppe Conte – Presidente del Consiglio dei Ministri

(di Biagio Mannino)

Dopo tre mesi di discussioni, accordi divenuti poi disaccordi, litigi, insulti, riappacificazioni, nuovi litigi e nuove riappacificazioni, dopo ben cinque consultazioni e tre incarichi, dopo svariati ipotesi di Presidenti del Consiglio e tipologie di maggioranze, dopo varie volte dove le elezioni sembravano essere pronte, dopo averle viste slittare sempre più in là, l’Italia ha il suo Governo.
La notizia non è certo una novità ma questa esperienza politico – parlamentare non può che invitare a prendere in considerazione certi aspetti dell’evento in sé.
Il percorso della nascita del nuovo Governo ha mostrato, in certi momenti, una vera e propria situazione di impossibilità a giungere a delle effettive soluzioni.
Tanti i veti e le condizioni che, alla fine, si trasformavano solo in una sorta di spettacolo per i cittadini attoniti di fronte a quello che sembrava essere un “grande Fratello” della comunicazione, avente a protagonisti proprio i leader della politica italiana e, in certi momenti, anche estera.
Ma, sottolineiamo, non il Grande Fratello di George Orwell bensì, il decisamente diverso “GF” della televisione che, dal 2001, rallegra, annoia e tormenta le serate dei telespettatori.
Sì, dei telespettatori che guardano i Reality Show e che guardano i Talk Show dove, tra litigi in diretta e insulti misti a pseudo riflessioni, confondono lo spettatore al punto di vedere impostato un linguaggio unico in due strutture televisive.
Spettacolo e politica seguono allora il medesimo percorso ed è quello della continua e costante contrapposizione.
Il tutto, se riteniamo che la televisione abbia anche una funzione educativa, diviene strumento di convincimento ed allontanamento, di pressione, e di disillusione, di convinzione e di abbandono.
Non c’è più limite alla ricerca del successo numerico: non c’è nel consenso politico che deve essere a prescindere, deve essere nel contesto televisivo mediatico dove il numero alto è potenziale pubblicitario.
La campagna elettorale diviene continua e costante, in Italia come ovunque nei contesti democratici e allora subentra l’elemento “preventivo”.
Se analizziamo le esperienze precedenti in cui la formazione di nuovi Governi caratterizzava l’attenzione, vediamo come la definizione preventiva diviene un elemento che assume una progressiva importanza.
Era il 2011 quando alla caduta del Governo Berlusconi era sufficiente descrivere il Loden di Mario Monti per avere delle aspettative di un sicuro miglioramento della situazione economica e finanziaria italiana.
Fu forse l’inizio di una sorta di attenzione ai particolari insignificanti per avviare un percorso di lettura del futuro istituzionale. Un cappotto come i disegni nel braciere della maga pronti per essere letti ed interpretati.
E così, quando arrivò Matteo Renzi, la valutazione preventiva interpretava le stelle segnando una via di sicuro successo e capacità politica per una struttura di Governo giovane e nuova. Ma i risultati poi si sono visti e basta valutare cosa è rimasto del PD per capire bene che, forse, il giudizio preventivo, richiederebbe maggiore attenzione.
Adesso siamo al punto di partenza ma, questa volta, forse per non ripetere gli errori entusiastici del passato, assistiamo ad un giudizio preventivo del tutto opposto: solo una catastrofe è posta alla fine del cammino del nuovo Governo Conte!
Fare un elenco di disastri possibili renderà un successo un piccolo risultato. E così la battaglia politica preventiva rischia di divenire un vero e proprio aiuto per chi, alla fine, lascia il gioco della comunicazione agli altri.
Se ne sentono di tutti i tipi, quasi una ricerca scientifica del problema e del difetto ma, nei fatti, quelli specifici, poco o niente.
Allora quel Reality Show rischia di diventare costruito, finto, fasullo in tutte le sue espressioni e il cittadino – spettatore – elettore da un disorientamento iniziale comincia a scuotere la testa ed uscire dal torpore. Entra in scena Orwell, con il suo Grande Fratello, quello vero, con un’analisi oggettiva del metodo di comunicazione politica che porta l’incosciente a divenire cosciente e poi, proprio perché cosciente, indotto a ritornare nell’incoscienza.
Ma questa volta la convinzione, e solo quella, che tutto sia giusto, preventivamente o non preventivamente, c’è.

 

NOTA: l’immagine in questo post è tratta da www. Wikipedia. it. 

Trieste diventa sempre più “Mitteleurocentrica” in un’Italia “Euroinstabile” ed in un’Europa “Euroconfusa”..

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le rive di Trieste dal Molo Audace. BM 2015

(di Biagio Mannino)

Nella confusione di un’Italia che non riesce a trovare la via per darsi una stabilità interna necessaria non solo per le effettive esigenze dei cittadini italiani ma anche per attuare una politica estera che, in qualche modo ne tuteli gli interessi, in un?Europa che, sebbene in modo diverso, mostra evidenti problemi di assetto e di identità, non essendo ancora riuscita a impostare una reale politica europea, Trieste sembra distaccarsi da tutto ciò ed essere tornata a quel pragmatismo che precedeva il 1914.
Situata all’estrema periferia dell’Italia, ma assolutamente al centro di quel sistema Europa – Mediterraneo, la Trieste del futuro è già oggi.
E tutto torna da quella sua specificità territoriale che l’ha fatta essere punto di grandi interessi, sia economici che finanziari, quella specificità rappresentata dal mare.
Il porto di Trieste è ripartito: in brevissimo tempo, solo poco più di tre anni, il sistema porto – ferrovia ha prodotto un grande aumento del numero di treni che, da Trieste, trasportano merci di ogni tipo. Sono ormai più di 2300 i treni all’anno e questo incremento non sembra rallentare, anzi.
E’ il sistema mare – territorio che diviene l’arma vincente in un contesto di scambi commerciali globali dove, in particolare, Turchia e Cina, guardano attivamente a Trieste come punto di sbarco ed imbarco.
Merci destnnate a tutta l’area dell’Europa centrale che vedono proprio in Trieste anche una affidabilità che precedentemente era andata perduta.
Ormai è il primo porto italiano per trasporto su ferrovia e il tasso di incremento continua ad aumentare.
Ma non solo merci ma anche le ormai storiche risorse energetiche danno a Trieste il ruolo di strategicità proprio per quelle realtà europee che, al momento, si trovano ai vertici del complesso meccanismo europeo.
Il 90% delle risorse energetiche non gassose dell’Austria passa per Trieste così come il 100% di quelle della Baviera.
Il tutto unito ad una crescente sinergia con il territorio che, grazie anche ai fondali marini del porto di ben 18 metri, consentono un interscambio tra navi di grandi dimensioni e logistica dei trasporti intensa e applicata.
Sono questi solo alcuni dei dati di uno sviluppo che si sta realizzando e che fa vedere, dopo tanti anni, una sorta di rilancio dei tutto il contesto triestino.
Trieste torna Mitteleuropea con più del 90% delle merci destinate proprio all’Europa centrale.
Mentre l’Italia non sa darsi una effettiva posizione all’interno dell’Unione Europea, il mondo del commercio, degli affari, della finanza procede nella direzione proprio di un contesto europeo unico.
La situazione italiana è solo una delle tante problematicità presenti poiché è tutta l’Europa a vivere una situazione di contrapposizione non esprimendo un interesse europeo proprio nel momento in cui il gigantismo mondiale evidenzia che i piccoli non possono riuscire da soli.
La Cina in particolare guarda all’area UE con concreti interessi volendo anche adottare la politica della doppia convenienza senza, però, trovare interlocutori istituzionali con visioni convergenti.
Un percorso questo che, paradossalmente, anziché tutelare, secondo le intenzioni di alcuni, le sovranità degli Stati membri, le indebolirà e quei pochi sopravvissuti, poi, entreranno in crisi proprio per una limitazione di un mercato necessario a tutti.
Trieste, al momento, guarda al concreto, all’oggi prescindendo dal contesto e si muove su un terreno difficile e confuso ma che permette, alla fine, di realizzare pragmatici obiettivi.
La Trieste di oggi non vive più quella apatia del recentissimo passato ed anche gli investimenti fatti nell’ambito del turismo risultano come un vero e proprio investimento di marketing, una sorta di meccanismo di comunicazione pubblicitaria per una città che, per troppo tempo, è rimasta dimenticata, nella sua storia, nel suo essere.
Forse i triestini ancora non avvertono pienamente l’inizio del cambiamento, e, in particolare, i triestini delle generazioni più anziane resi fermi ed immobili dagli eventi del ‘900.
Ma, forse, la sfida più difficile, è quella di creare una mentalità, di incanalare l’energia potenziale nella direzione giusta, anche perché l’impressione è che non tutti gli attori del rilancio abbiano compreso le potenzialità offerte dal momento storico.
Tutto questo non poteva avvenire senza la caduta dei confini, senza l’Euro concepito in un significato più alto di moneta, ma come strumento di unione dei popoli. Tutto questo non poteva avvenire senza la volontà di ragionare in termini europei, e tutto questo, potrebbe finire a causa di una volontà di non pensare all’interesse generale ma particolare.
Tantissime potenzialità per il vecchio Continente, tantissimi interessi inconciliabili, poca disponibilità ad una politica effettivamente comune.
Brexit, Grecia, populismi, voglia di confini… tanti segnali da prendere in considerazione in un percorso di disunione mentre il mondo globale attende risposte concrete.

 

NOTA: l’immagine in questo post è opera di Biagio Mannino.

Tutto da rifare!

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Il Parlamento riunito in seduta comune presso la Camera dei Deputati.

(di Biagio Mannino)

Tutto da rifare! O meglio, da fare…
Cosa? Non si sa, anche perché, qualunque sia la scelta, a questo punto, produrrà inevitabilmente tensioni.
Sono ormai passati 84 giorni dalle elezioni e quel 4 marzo appare quanto mai lontano nella memoria degli italiani.
Quello che, però, resta ben evidente, è non solo l’insistente incapacità della politica di arrivare ad una soluzione di un oggettivo stato di crisi, ma anche l’impressione di essere già in una sorta di campagna elettorale di elezioni non definite, con date non definite e con risultati decisamente imprevedibili.
Le abbiamo viste tutte: accordi tra forze di tutto l’arco parlamentare, divisioni e litigi, prese di posizioni imprescindibili, volontà di fare passi indietro a condizioni che… , ipotetici congressi e lotte di potere, auto candidature a incarichi svariati, compromessi e questioni di principio e… tanto altro ancora.
Alla fine, Giuseppe Conte, un nome nuovo, sconosciuto ai più, forse una novità, chissà… E tutto sembra tornare verso una sorta di pseudo certezza di aver trovato una soluzione.
E poi qualche scandaletto che non manca mai e con essi, tensioni nel mondo della finanza: il contratto Lega – Cinque Stelle non piace proprio.
Sale la paura. La UE cosa dice? E la Germania?
La politica italiana diviene sempre più una realtà in stato di fibrillazione dove l’attenzione mondiale si concentra nel tentativo di comprendere se e fino a che punto i “barbari”, come definiti altrove, sarebbero arrivati.
E se l’Italia rappresentasse il via ad un percorso di emulazione europeo? In Francia? Forse nella stessa Germania?
Ma il punto di disaccordo arriva e si chiama Savona. Un uomo che critica il sistema Europa, un uomo non gradito.
“O lui o niente” dicono alcuni, “O un altro o niente” rispondono altri. Lo scontro inizia e… si arriva ad oggi: niente!
Ma a chi fa paura questa situazione? A chi giova questa situazione?
Non ci sono dubbi: l’Italia come l’Unione Europea necessitano di una effettiva ristrutturazione in un mondo dove ormai anche la globalizzazione è cosa antica.
Di fronte alle sfide non del futuro ma del presente, così come si è oggi, si fa poca strada.
Cambiamento? Sì, ma quale? E come?
Il fatto è sempre quello: nessuna Europa senza limitazione di sovranità da parte di tutti. Nessuna Europa se prevalgono gli interessi particolari.
Può piacere, può non piacere. Basta scegliere. Sicuramente così, come si è adesso, le cose non andranno.
Nel frattempo la politica italiana è esempio di chàos del vecchio mondo post 1914 e le vicende del mancato Governo ci danno bene l’idea della confusione.
Non solo, all’ennesimo tentativo, si prende coscienza dei limiti di questo Parlamento ma altri segnali lasciano quanto mai perplessi di fronte ad ipotesi di messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica.
Insomma, la bussola sembra roteare vertiginosamente indicando chiaramente che… la strada è persa.
Le elezioni, secondo alcuni, sarebbero la soluzione migliore. Sì, ma se la legge elettorale non fosse il Rosatellum Bis…
Con questo sistema elettorale il rischio è quello di essere al punto di partenza.
Forse la soluzione passa da un atto di consapevolezza che vede una fiducia ed una partecipazione di tutte le forze politiche ad un Governo, senza distinzioni ideologiche, ma con un contributo attivo e cosciente proprio in nome di un obbiettivo superiore: l’Italia. Un atto di responsabilità che riporterebbe la fiducia nei confronti della politica nei cittadini italiani.

 

NOTA. l’immagine in questo post è tratta da www. Wikipedia. it. 

Elezioni in Friuli Venezia Giulia: con il 57% vince il centro destra e la Lega vince su tutti. E adesso?

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le rive di Trieste dal Molo Audace. BM 2015

(di Biagio Mannino)

Trieste, 30 aprile 2018.

Nelle elezioni regionali, in Friuli Venezia Giulia, con il 57,1% dei consensi, trionfa il centro destra ma, in particolare, è l’affermazione della Lega che, con il 35%, rappresenta il vero successo.
Una affermazione che non solo ha confermato il già ottimo risultato conseguito nelle recentissime elezioni legislative nazionali, ma anche ha mostrato un copioso aumento di consensi in riferimento alle passate regionali nel 2013.
La Lega, quindi, il primo partito che adesso porta Massimiliano Fedriga ad assumere il prestigioso incarico di Presidente della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, succedendo a Debora Serracchiani.
Ma non basta: è questo un risultato che deve essere interpretato.
Il momento storico che l’Italia sta attraversando mostra come, nel contesto della politica, vi sia una grande sostanziale confusione.
Ancora non si è raggiunta la formazione di un Governo dopo le elezioni del 4 marzo e le trattative tra le diverse forze politiche si sono ormai dimostrate inconcludenti.
Sono passati due mesi e l’effetto del Rosatellun Bis si vede tutto.
Tante parole, molti incontri, poca chiarezza, nessun fatto.
I cittadini, ormai perplessi dallo spettacolo “politica”, vedono aumentare il livello della loro disillusione nelle effettive capacità dei loro rappresentanti e la partecipazione al voto in FVG ha mostrato un ulteriore calo dei votanti.
L’attenzione mediatica all’evento è stata tanta e questo non può essere spiegato se non con l’interesse oggettivo nel risultato finalizzandolo ai giochi nazionali per conseguire gli obbiettivi, ovvero, la politica.
In molti ci hanno creduto e, altri, molto meno.
Infatti se i “big” del centro destra si sono decisamente dati da fare frequentando ogni angolo della Regione, le altre forze non hanno avuto la stessa determinazione e, alla fine, l’idea era che l’unica lotta effettiva fosse quella tra Lega e Forza Italia per chi conquistava più voti.
Ha vinto la Lega: ha vinto le regionali, ha vinto la competizione con Forza Italia, o meglio, con Berlusconi.
Le diatribe tra Berlusconi e Salvini dovevano trovare una soluzione da parte dei cittadini e così è stato: Salvini supera Berlusconi di 20 punti percentuali.
Il PD del FVG esce di scena senza clamorose cadute ma, di fatto, sconfitto.
Perché? Per non aver ben governato nei precedenti cinque anni?
Non si può dire questo, anzi, la Giunta Serracchiani ha fatto molto, eppure…
Eppure il PD perde per un effetto, nuovamente, nazionale, dove l’onda di tsunami del renzismo tutto travolge e tutto porta via con sé.
Troppa è stata la delusione rappresentata da Renzi e troppe le contrapposizioni all’interno di un PD che più che mai necessita di una seria ristrutturazione.
Troppi conflitti interni per poter dare l’energia sufficiente ad intraprendere una campagna elettorale per riaffermarsi in FVG.
E il Movimento Cinque Stelle?
Silenziosamente dimezza i suoi voti dopo soli due mesi e silenziosamente mette da parte una campagna elettorale che, anche questa silenziosa, evidenzia una certa distrazione a livello locale da parte di questa forza politica.
Effetto delle lunghe trattative a livello nazionale?
Forse, un’attesa eccessiva per cominciare a vedere qualche cosa, ma anche, semplicemente, una comunicazione praticamente assente.
E adesso?
I partiti nazionali faranno di questo risultato un elemento di immenso interesse, se vincenti, o, al contrario, di grande banalizzazione, se perdenti. Ma, visti i risultati, Salvini, avrà la forza di staccarsi da Forza Italia, dall’anziano Berlusconi che, anche in questa occasione ha raccolto un 12%, evidente segnale di un percorso non certo brillante. Salvini riuscirà a trovare la forza ed iniziare a governare veramente? A governare prendendo responsabilità che guardino al lungo periodo e non alle prossime elezioni?
In realtà, mentre l’Italia attende, il Friuli Venezia Giulia inizia un percorso nuovo in un momento storico che, per queste terre e Trieste in particolare, rappresenta una vera occasione di grandi prospettive ed opportunità.
Sì, e con il Veneto, quello del Presidente Zaia, quel Veneto che guarda a questa Regione autonoma più come un ostacolo che una risorsa, sì, come saranno le relazioni del nuovo FVG?
Nel frattempo, la Cina, guarda anche lei ai porti dell’Adriatico…

 

NOTA: l’immagine in questo post è di Biagio Mannino.

Donne candidate parlano del ruolo della donna in un incontro trasversale.

(di Anna Piccioni)

All’invito promosso dal Forum delle Donne alle candidate alle prossime elezioni regionali si sono presentate rappresentanti del PD, di Open FVG, Cittadini, Lega.
Queste donne hanno accettato la sfida si sono messe in gioco,per farsi sentire e incidere in un mondo che ancora lascia poco spazio alla politica al femminile. Sono donne diverse di formazione, di provenienza, ma tutte con un loro bagaglio di esperienze e di conoscenze. Alcune come Teresa Bassa Poropat , Antonella Grim ,Majda Canziani rappresentante della minoranza di lingua slovena, hanno alle spalle già un’esperienza politica, quindi conoscono la macchina amministrativa e il loro impegno è soprattutto nel portare avanti i progetti iniziati
Le altre provengono dal mondo della scuola, del commercio, dell’imprenditoria: Ariella Bertossi, dirigente scolastica; Debora Desio, imprenditrice; Flavia Kvesto, commerciante; Federica Verin, dal Ministero dell’Interno, Fiorella Macor, fotografa; Ingrid Stratti, relazioni internazionali.
Nel presentarsi tutte hanno messo in evidenza le difficoltà che ancora le donne trovano nel mondo del lavoro e nel sociale: soprattutto l’isolamento se non addirittura la “ghettizzazione” che ancora troppo spesso le donne subiscono. E’ interessante rilevare che la politica al femminile non vuol essere relegata solo a risolvere i problemi della curatela, ma farsi sentire anche su altri tempi soprattutto per quanto riguarda il lavoro, l’ambiente, l’economia; insomma fare Politica a tutto tondo
Volutamente non ho aggiunto al nome il partito di appartenenza in quanto nel momento in cui le donne si presentano e si confrontano in vista delle prossime elezioni regionali dimostrano di saper superare gli schieramenti che rappresentano: parlano la stessa lingua.
Questa considerazione fa pensare che le donne dovrebbero fare ancora un passo veramente rivoluzionario; formare il partito delle donne.
Da tutte ,se elette, viene espresso la volontà di fare battaglie insieme, di unirsi, in quanto purtroppo la politica è ancora gestita solo dagli uomini.

 

NOTA: l’immagine in questo post è opera di Biagio Mannino.

Cercasi maggioranza parlamentare…

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Il Parlamento riunito in seduta comune presso la Camera dei Deputati.

(di Biagio Mannino)

La politica italiana continua a mostrarsi “alla vecchia maniera”.
Dopo le elezioni del 4 marzo poco o nulla appare all’orizzonte.
Poco o nulla di quanto gli elettori italiani attendono: un vero cambiamento.
L’esito della consultazione ha espresso chiaramente la volontà dei cittadini di esprimere contemporaneamente un forte malcontento nei confronti delle forze che hanno gestito il Paese negli ultimi venti anni e, di conseguenza, l’esigenza di provare nuove strade.
A distanza di ormai più di un mese quella partita a scacchi sembra essere arrivata in una fase di stasi e, i giocatori, appaiono spaventati dall’essere proprio loro i vincitori.
Sì, i vincitori ai quali spetta l’onore, e l’onere, di governare.
Se agli inizi, e, in particolare, con l’elezione dei Presidenti delle Camere, sembrava che la strada andasse nella direzione di una coabitazione tra Lega e Movimento Cinque Stelle, a distanza di pochi giorni, tutto rientra e torna ai soliti meccanismi elettorali di tipo proporzionale.
Nessuna rottura della coalizione di Centro Destra da parte della Lega e, nello stesso tempo, Berlusconi fa sentire ancora la sua forza nel determinare la politica della storica alleanza.
E Salvini torna sui suoi passi dopo il momento d’energia decisionale e di strategia politica mostrate in occasione dell’elezione dei Presidenti delle Camere.
Il M5S si trova allora a guardare altrove, a quel PD che, forte della sua sconfitta, può fare un po’ quello che vuole senza preoccuparsi troppo dei futuri risultati: guardare, commentare, osservare, criticare… comunicare.
Comunicare cosa?
Comunicare l’incapacità degli altri di raggiungere un risultato ma utilizzando quel semplice metodo che consiste nel “lasciar fare”.
Infatti, almeno per il momento, l’incapacità di arrivare ad una soluzione, punta tutta l’attenzione mediatica solo ed esclusivamente su Lega e M5S e, un po’ con l’aiuto di Berlusconi, un po’ con quello del PD “all’opposizione”, l’attesa degli italiani si fa sempre più faticosa e il malumore pure.
Non ci sono dubbi: il Rosatellum Bis ha provocato l’effetto perfetto: l’ingovernabilità accompagnato da forti svantaggi per chi non la raggiunge, pur impossibilitato nel farlo, e forti vantaggi per chi non la cerca, pur potendola raggiungere.
E allora la strategia del gioco cambia.
Non più vincere la partita ma perderla facendo sembrare che sia stato l’altro ad essere la causa della sconfitta.
Importante diviene uscire da questa situazione con l’immagine di averci provato e lasciare la responsabilità del fallimento all’altro.
Un gioco difficile, rischioso e, soprattutto, triste.
L’impressione diventa , alla fine, quella che nessuno ci tenga poi così tanto a governare, a prendere in mano una realtà che ha forte bisogno di decisioni anche impopolari.
E’ finita la serie delle promesse elettorali che abbiamo avuto modo di sentire. Adesso bisogna mantenere quella più importante: governare.
Il Mondo corre e l’Italia è lì, ferma nelle alchimie di quelle logiche incomprensibili agli elettori mentre i partiti, tutti, dal primo all’ultimo, dovrebbero incominciare a ragionare sull’investire proprio sull’Italia, assieme, con obiettivi precisi, chiari, realizzabili.
Ma ormai sono in molti a ritenere che l’investimento sarà dedicato alle prossime elezioni, che, se si continuasse a procedere così, si presenteranno presto.
E gli elettori, quelli che hanno votato, che hanno votato in tanti il 4 marzo, che hanno votato in tanti il 4 dicembre 2016, sì, quelli là, su chi investiranno questa volta?

 

NOTA: l’immagine in questo post è tratta da www. Wikipedia. it. 

Con Fabrizio Frizzi finisce un modo di essere.

foto(di Biagio Mannino)

La scomparsa di Fabrizio Frizzi ha lasciato sconcertato il numeroso pubblico televisivo italiano.
Frizzi, un presentatore che aveva accompagnato le serate da molti anni, il presentatore che prima di tutto era l’amico di chi lo guardava quotidianamente, l’uomo che aveva fatto dell’educazione e del bel modo di essere il suo elemento e caratteristica distintiva.
Sì, un metodo comunicativo che non lasciava spazio alle scorrettezze, alle brutte parole, alla presa in giro, alla volgarità.
La notizia ha colpito tutti e in molti l’hanno vissuta come se la perdita li riguardasse personalmente.
Un amico, un caro amico che viene a mancare e che crea una sorta di emotività collettiva dove tutti i singoli divengono il tutto e il tutto si identifica proprio nella figura dell’amico virtuale: Fabrizio Frizzi.
Diviene naturale allora porsi un interrogativo sul significato e sul valore che il mezzo televisivo ha nella vita di chi lo guarda.
Tra le tante interviste, una in particolare evidenzia un punto di profonda riflessione. Un’intervista in cui una telespettatrice dice di essere sola ma, alla sera, cenava sempre con Frizzi.
Allora il mezzo televisivo passa da quella funzione di informazione, di intrattenimento, ad una dimensione superiore: quella della socializzazione.
La virtualità dell’amico diviene strumento di compensazione delle proprie situazioni personali espresse in una società che, sempre di più, assume toni individualistici e ci trasforma inesorabilmente, tutti, in persone sole.
La compagnia, la presenza, l’elemento che colma ciò che manca si personifica nel personaggio televisivo attribuendogli, suo malgrado, responsabilità.
Ma l’attenzione non vale per tutti.
Frizzi rappresenta quel bisogno di una società diversa, di una società gentile, educata, cortese, lontana dai contrasti verbali, dalle violenze che emergono ovunque, dalle grandi alle piccole cose.
E così, di fronte ad una televisione dei reality show, in cui l’eterna discussione domina ed alimenta la tensione, si ricerca, nuovamente, l’amico, quello a cui affidarsi.
Un mondo strano e particolare, in cui modernità e sviluppo mal si ambientano con le più lente regole del vivere comune, in cui agli insulti nel mondo dei social, si chiede un ritorno alle buone maniere.
Ipocrisia? Mancanza di una visione realistica della realtà?
Tanti potrebbero essere gli interrogativi ma il senso di smarrimento in un mondo di relazioni sempre più difficili, è in costante aumento e porta all’inevitabile desiderio di quella quiete, di quel silenzio che solo gli eremiti hanno la forza di cercare.
Con Frizzi se ne va un modo di essere che, oggi più che mai, necessita di trovare altri che ne prendano l’esempio e ne facciano scuola.
Indubbiamente un senso di vuoto…

 

NOTA: l’immagine in questo post è tratta da http://www.corriere.it .

Chi prenderà la responsabilità di non deludere (nuovamente) gli italiani?

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Il Parlamento riunito in seduta comune presso la Camera dei Deputati.

(di Biagio Mannino)

La politica italiana, dopo il 4 marzo, produce i primi due risultati: le elezioni del Presidente della Camera dei Deputati, Roberto Fico, e del Senato, Elisabetta Casellati.
Inizia così la legislatura con le mosse in una partita a scacchi che vede tutti i contendenti impegnati a cercare la strategia corretta.
Al momento sembra proprio che questa appartenga  alle due forze che maggiormente si sono distinte nella consultazione elettorale: M5S e Lega.
Un lavoro di attento equilibrio dove un eventuale passo falso potrebbe compromettere tutto.
Infatti sono questi i momenti, tipici di situazioni complesse prodotte dai sistemi di tipo proporzionale, che sanciranno le future coalizioni finalizzate ad una piena ed operativa esperienza di governo.
Ormai la distinzione tra vincitori e sconfitti è evidente e solo traballanti tentativi di comunicazione politica possono, in qualche modo, cercare di attutire il colpo che PD e FI hanno ricevuto dagli elettori italiani.
Con il 18% il primo e il 14% il secondo, diviene difficile tentare di inserirsi da protagonisti nelle vicende parlamentari, anche perché, cosa ben più ardua da risolvere, è in ridiscussione tutto l’operato di queste due forze di Governo degli ultimi 20 anni.
E la debolezza si vede benissimo anche in questa occasione, non contando più di tanto nell’elezione della seconda e della terza carica dello Stato.
Sembra, al contrario, un gioco di squadra, da abili conoscitori delle dinamiche parlamentari, quello della Lega e del Movimento Cinque Stelle.
Un gioco che ha messo in evidente difficoltà proprio colui che era abituato a gestirlo da protagonista: Silvio Berlusconi.
La mossa sulla scacchiera della politica ha portato il re sotto scacco e Berlusconi ha dovuto arretrare accettando gli accordi sui nomi dei Presidenti delle Camere imposti proprio dalla Lega di Salvini e dal M5S.
Se la strada, sebbene non spianata, si apre per queste due forze, dall’altra parte appare ormai chiaro che per Forza Italia e per il Partito Democratico ci saranno momenti di seria difficoltà.
Per il primo si tratta di una conferma al già evidente risultato elettorale, dove quel ruolo di primarietà all’interno della storica coalizione di centro – destra è ormai concluso.
Di conseguenza il ruolo stesso di Berlusconi necessita di una ridiscussione anche perché un grande cambiamento generazionale è avvenuto in Parlamento.
Un Paese che guarda al futuro deve guardare al futuro.
Il PD, che indubbiamente un ricambio lo ha già effettuato, è poi caduto in un percorso gestionale che anziché andare nella direzione segnata dalla “rottamazione”, si è dimostrata essere la stessa precedente con un leader, Matteo Renzi, già vecchio prima ancora di essere stato giovane.
Grandi ristrutturazioni e consapevolezza di direzioni politiche contemporanee divengono la necessaria formula che queste due realtà devono intraprendere prima di tutto per la loro sopravvivenza, poi, per l’interesse generale.
Se la Lega nuova non è, ha saputo trovare una via ma, adesso, la possibilità di governare c’è, e a quella si accompagna anche la responsabilità.
La stessa responsabilità tocca, o spetta, al M5S, che dopo anni di accesa battaglia, si trova davanti il traguardo di quel percorso iniziato ancora a Bologna con il “Vaffaday” ma che, di fatto, rappresenta l’inizio di una realizzazione delle promesse fatte in questi anni.
Dice Beppe Grillo “Non siamo anti sistema. Il sistema è caduto da solo”.
Effetti di una storia post 1989 che, dopo quel crollo del Muro di Berlino, ha trascinato la politica che “era” a quella che è diventata senza però mai effettivamente rinnovarsi del tutto.
Molte sono state le componenti politiche che si sono affacciate come effettive portatrici delle soluzioni a partire proprio da quel PD di Renzi che, però, si è rivelato solo una grande delusione per tutti coloro che avevano visto una sorta di miraggio.
E ancora prima Forza Italia, che con Berlusconi iniziava un percorso, quello della nuova espressione di una politica che, a promesse e a parole, tante, diveniva dinamicità imprenditoriale vincente ma, poi, la storia è stata un altra…
Adesso ci risiamo e i cittadini – elettori sono lì, ancora, forti della loro volontà di votare e partecipare.
La responsabilità di non deludere è grande. Chi la prenderà?

 

NOTA: l’immagine in questo post è tratta da www. Wikipedia. it.

 

Elezioni 2018: cosa ha capito la politica italiana?

Giuramento_Mattarella_Montecitorio
Il Parlamento riunito in seduta comune presso la Camera dei Deputati.

(di Biagio Mannino)

 

I cittadini italiani lo avevano già detto.
La volontà di partecipare alla vita democratica dell’Italia, la voglia di un vero cambiamento, di un’effettiva direzione di modernizzazione della classe politica, era emersa chiaramente con il risultato del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016.
Una riforma, quella voluta dal Governo Renzi che privilegiava tutto tranne la partecipazione togliendo, di fatto, la possibilità di votare in modo diretto i componenti del Senato.
Ma la Costituzione Italiana, al secondo comma dell’art. 1, chiaramente esprime che “La sovranità appartiene al popolo”.
E se la sovranità appartiene al popolo, se appartiene veramente al popolo, il diritto – dovere di voto è il pilastro del principio democratico.
Sì, lo avevano ben espresso con un ampia partecipazione e un risultato che non lasciava dubbi: 60% per i NO e 40% per i SI.
Nonostante questo non si volle vedere quanto gli italiani suggerivano, anzi, pretendevano, dalla politica: partecipare e contare.
E così venne approvato il Rosatellum Bis, la legge elettorale con la quale si è votato il 4 marzo.
Una legge proposta dal PD ed approvata anche da Forza Italia e Lega e, di conseguenza, voluta in modo sostanziale da quelle forze politiche più “antiche” nel sistema parlamentare.
Una legge che, anziché privilegiare, limita ulteriormente la partecipazione che, con il voto non disgiunto, di fatto affida alle segreterie dei partiti la stesura delle liste dei candidati praticamente certi di entrare nel contenitore parlamentare.
Inoltre, a completamento del tutto, nessuna preferenza da esprimere.
No, quel segnale lanciato il 4 dicembre 2016 non è stato colto ma, nonostante tutto questo gli italiani vanno a votare smentendo chi prevedeva ampio astensionismo.
File e disagi non hanno impedito di continuare a esprimere la volontà di partecipare anche dopo una campagna elettorale che, a colpi di promesse elettorali, metteva in evidenza la mancanza di idee di tante forze politiche.
Tracollo del PD che, inevitabilmente, paga i cinque anni di Governo e di protagonismi soprattutto del suo leader Matteo Renzi.
Renzi, il protagonista degli ultimi anni che, nel ruolo del “rottamatore”, ha gestito la politica in un modo tale da divenire in brevissimo tempo il prossimo “rottamato”. E nessuno può essere incolpato poiché ha fatto tutto da solo.
Ma restano le macerie, quelle di un PD che rappresentava solo cinque anni fa, un’effettiva speranza di cambiamento divenendo, però, solo la continuazione di un mondo veramente bisognoso di guardare a ciò che lo circonda.
Modernità e disoccupazione, tecnologie e disperazione, progresso e recessione… tutto gravita intorno e nulla viene visto, avvertito.
La sinistra si stacca e precipita ulteriormente: LEU e tutte le altre componenti non si accorgono delle esigenze effettive del loro popolo e, in queste elezioni, la svolta, o meglio, la fine di un mondo che era già finito dopo il 1989.
Se il centro sinistra deve guardarsi allo specchio, Silvio Berlusconi dovrebbe rendersi conto che anche lui ha fatto il suo tempo: tavoli, contratti con gli italiani, barzellette e promesse, sono ormai spot da cabaret che ricordano di più Drive In che le effettive esigenze di un popolo sofferente, che guarda al domani con ansia e preoccupazione, che è in calo demografico grave poiché non può permettersi il lusso di ciò che è naturale: un figlio.
Forza Italia precipita ai minimi e viene superata da una Lega che nella concretezza di Matteo Salvini prende i voti proprio a Berlusconi ormai invecchiato.
La Lega motore del centro destra, motore addirittura di sé stessa con prospettive di divenire Il centro destra mentre Fratelli d’Italia si confermano nelle loro posizioni ma ancora troppo piccole per aspirare a qualche cosa di più.
I vincitori: il Movimento Cinque Stelle.
Non solo confermano il risultato di cinque anni fa ma lo superano di sette punti ed arrivano al 32,5%.
Un Movimento che ha saputo incanalare la visione di molti, di esigenze di cambiamento, di nuovi volti, di generazioni al passo con i tempi.
Ma, è altrettanto vero, con grandi problemi di inesperienza gestionale e con sistemi rigidi di controllo dei propri iscritti. Con tentazioni sempre presenti e con gesti di effettiva volontà di cambiare la politica.
Riuscirà o, con il passare del tempo, diverrà come, alla fine, la politica porta ad essere?
Questa è la sfida maggiore che il M5S dovrà affrontare poiché il rischio sarebbe una grande, anzi, grandissima delusione, per i propri elettori.
Nel frattempo… per effetto del Rosatellum Bis… la politica fa… la politica e, incurante del segnale del 4 dicembre 2016, del 4 marzo 2018… studia percorsi alternativi per traslare parlamentari ora di qua, ora di là in un gioco di contrasti personali e non di interessi nazionali.
Non sono le leggi elettorali o le Costituzioni a creare l’ingovernabilità bensì la presenza, o l’assenza, della volontà
Semplicemente… la volontà.

 

NOTA: l’immagine in questo post è stata tratta da www. Wikipedia. it.

Quando il nuovo è già vecchio e il vecchio crede di essere tornato nuovo.

renzi-berlusconi-675(di Biagio Mannino)

Ormai ci siamo: le Camere sono state sciolte, le elezioni sono alle porte, la campagna elettorale è ufficialmente incominciata!
In queste occasioni tutti i più raffinati tatticismi, le più fantasiose strategie portano al massimo l’esperienza della comunicazione politica che dà il meglio, o il peggio, di sé stessa.
L’attenzione si pone, in particolare, su due figure dello scenario politico italiano. Quelle che hanno unito la politica (poca) all’esposizione mediatica (tanta), al punto tale da concentrare in loro l’attenzione dei cittadini, o meglio, elettori, in una sorta di gioco che, tele visivamente, li ha gradualmente trasformati in spettatori.
Spettatori di uno show fatto di dibattiti, di apparizioni televisive, di spot, tweet e di tanto altro ancora che si è andato a integrare con il modificarsi delle tecniche e dei mezzi comunicativi.
Silvio Berlusconi e Matteo Renzi incarnano il modo contemporaneo di quel concetto di campagna elettorale che nel suo realizzarsi più antico ricorreva agli ormai dimenticati comizi di piazza, sostituiti oggi dai più moderni, e comodi, salotti televisivi.
Fin da quando Renzi è comparso nel “campo di battaglia” della politica italiana, in molti osservarono una certa somiglianza con Silvio Berlusconi.
Una certa irriverenza nei confronti di ciò che era, un modo di parlare molto schietto senza preoccuparsi della forma, senza preoccuparsi di rischiare di essere offensivi, e, in particolare, senza preoccuparsi dei contenuti.
Molti ricorderanno i celebri “sono stato frainteso” utili a Berlusconi per rimediare ad affermazioni che si rivelavano discutibili, o le promesse di Renzi, mai mantenute, come quella dell’ormai mitizzata uscita dalla politica nel caso di sconfitta nel Referendum Costituzionale.
E poi l’uso dei numeri per indicare i successi ottenuti dal proprio lavoro, o imputare agli altri incapacità o, cosa importante, porsi come una, o meglio ancora, la soluzione alle situazioni di crisi.
Senza poi dimenticare l’uso delle barzellette, delle battute, utilissime in ambito comunicativo a fine di creare intorno a sé un’immagine di simpatia e, contemporaneamente, a distrarre dai problemi veri.
Linguaggi simili, poco tecnici molto famigliari. Quasi due amici con cui condividere una serata in pizzeria ma altrettanto capaci nel guidare l’Italia?
Anche qui le somiglianze: grandi aspettative, pochi risultati, molte delusioni ma, soprattutto, elettori che, alla fine, si dividono in correnti all’interno delle stesse famiglie, poi, la ricerca di un capro espiatorio come elemento fondamentale per giustificare. Cosa? Non l’insuccesso ma il mancato compimento del pieno successo e, di conseguenza, la motivata necessità a tornare e ricominciare per impedire che altri possano travolgere tutto.
E allora gli ingredienti divengono la personalizzazione, la necessità, la paura, in un gioco che pone tutti ad assistere contrapposti agli altri come tifoserie alle patite di pallone.
Ma una cosa li differenzia: l’età.
Uno, Renzi, è giovane e l’altro, Berlusconi, è anziano.
Renzi, senza dubbio, ha avuto la capacità di raggiungere il vertice della politica italiana dimostrando una grande abilità e strategia politica ma, contemporaneamente ha dimostrato una altrettanto grande incapacità nel saper gestire il risultato e precipitando rovinosamente in un brevissimo arco di tempo.
Il concetto di “rottamazione” che gli dava forza agli inizi, paradossalmente ora è riservato a lui poiché l’estremizzazione dei toni si è rivelata, alla fine, una resa dei conti proprio da parte di coloro i quali sono stati rottamati.
Berlusconi, che ha adottato una metodologia più attenta e che ha avuto sicuramente il merito di modernizzare i meccanismi di comunicazione politica, non ha dato spazio a nessuno e la politica italiana ha visto trascorrere il tempo e lui invecchiare con essa.
Vedere oggi certe espressioni da parte del leader di Forza Italia usate venti anni fa ed adattate agli avversari contemporanei, lascia alquanto perplessi.
Lo spettacolo della politica italiana non annoia se lo si guarda per quello che è: uno spettacolo appunto.
Ma parlare di statisti, di persone capaci di far ripartire l’Italia, questo non si può proprio fare.
In ogni caso tutto diviene ancora più relativo quando la legge elettorale con cui gli italiani andranno a votare è il Rosatellum Bis. Una legge che tutto darà tranne che la governabilità.
E questa legge è stata voluta da entrami.

 

NOTA: l’immagine in questo post è stata tratta da “Il Fatto Quotidiano”.