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Quale PD dopo il referendum?

(di Biagio Mannino)

 

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Gianni Cuperlo – Trieste, 9 dicembre 2016 – foto BM 2016 – archivio fotografico Biagio Mannino.

Quale PD dopo il referendum del 4 dicembre? E’ questo, non “un”, bensì “il” quesito che molti si pongono, sia all’esterno che, in particolare, all’interno del Partito Democratico.
Ne hanno discusso a Trieste molti autorevoli rappresentanti del PD triestino che, presso l’Hotel Savoia, nella sala Zodiaco, venerdì 9 dicembre, hanno organizzato un incontro pubblico con la partecipazione di Gianni Cuperlo.
La sala era assolutamente gremita da persone simpatizzanti,  che volevano capire cosa potrebbe avvenire di un partito che, con la vicenda referendaria, ha mostrato una grande capacità, a detta di molti, autodistruttiva.
Un partito con una grande forza, con persone capaci  che poi, regolarmente, si potrebbe dire, si scontra con sé stesso.
Una storia già vista ma che, in questo caso, sembra aver prodotto danni superiori alle precedenti esperienze.
“Quale  PD dopo il referendum ?” :  questo è stato il titolo dato all’incontro e che ha visto esprimere una serie di appassionate riflessioni non solo sulle difficoltà di saper cogliere le effettive esigenze della società italiana in grande disagio ma, anche, nel non saper vedere come le condizioni geopolitiche internazionali cambino e dove le forze di sinistra appaiano sempre più emarginate.
Una valutazione non basata sui contenuti della riforma quanto sui metodi comunicativi portati, sull’effettiva esigenza ed opportunità di affrontare un percorso così faticoso e di duro confronto, sugli errori fatti dal Segretario Matteo Renzi.
Tanti argomenti sono stati trattati ed invitavano a riflessioni che sarebbero dovute essere fatte in momenti precedenti come quando, all’indomani della sconfitta in occasione delle elezioni comunali di Trieste, di Torino, di Roma e di tante altre città, il PD non si accorse o, forse, non volle accorgersi, che l’allarme era suonato.
E i bisogni dei giovani? Un altro punto di delicata attenzione sfuggito quando l’80% di questi ha votato “NO” al referendum del 4 dicembre. Inoltre… i sindacati, e in particolare la CGIL, la scuola, tutti bacini elettorali divenuti ex bacini elettorali.
Inevitabile il confronto, la riflessione e porsi, appunto, il quesito su quale possa essere il futuro del PD dopo il referendum.
Quello che è mancato è stato il contrasto tra i partecipanti. L’opinione di autocritica era presente solo in parte, a differenza della presa di coscienza delle responsabilità dei vertici nazionali.
E allora? Si è forse rotto l’incantesimo con Matteo Renzi?
Non è possibile affermarlo in questo momento. Vero è che il senso di profondo disagio e disappunto per come sono state svolte le cose in questi tre anni appare quanto mai evidente e molti, in occasione dell’incontro di Trieste, lo hanno espresso.
Gianni Cuperlo, nella sua città, parla chiaro e con un intervento apprezzato da tutti i presenti, sia per i contenuti che per la qualità, evidenzia la serie di problematiche intrecciate tra la società italiana, il mondo dei giovani, le relazioni intergenerazionali e la situazione internazionale. In un contesto dove si trova il PD ad essere la forza di riferimento appare una società in difficoltà ma che, paragonandola ad un film in cui, nonostante tutto c’è un lieto fine, in questo caso, manca anche la speranza.
Ed è questo il problema: non saper vedere nel lungo periodo, forse, non riuscire, forse non potere. Ma quel grido lanciato ai politici, tutti, non è stato, come scritto nel post precedente, un indirizzarsi verso un apprezzamento o meno del Governo quanto una vera e propria espressione di volontà di partecipare ed essere attivi nella vita politica.
Diviene allora un percorso assolutamente ricco di imprevisti quello di ritenere che quel 40% di voti a favore del SI possano essere interpretati come una sorta di gradimento della figura di Matteo Renzi trasformando un fallimento clamoroso in una grande vittoria.
Una vittoria poiché da solo, Renzi, avrebbe il 40% dei consensi e, tutti gli altri, il 60% da dividersi tra loro.
Un grande e grave errore perché non si è compreso che sono espressione di partecipazione e lo sono tutti, sia il 60% dei NO che il 40% dei SI.
Sottovalutare questo aspetto significa non aver compreso il peso dell’avvenimento del 4 dicembre che, oltre al risultato, ha visto la partecipazione di quasi il 70% degli aventi diritto al voto.
Forse l’interrogativo più opportuno per il convegno doveva essere non tanto “Quale  PD dopo il referendum” quanto “Quale futuro per la politica italiana dopo il referendum” poiché sembra non essere stata ancora compresa la serie di esigenze che l’intera società italiana ha e che vuole, o per lo meno, vorrebbe, vedere la politica, tutta, iniziare a trattare.
Ottima l’iniziativa da parte del PD triestino di realizzare, a così pochi giorni dal referendum, questo confronto ed eccellente l’intervento di Gianni Cuperlo. Un peccato però l’assenza di Debora Serracchiani che sicuramente avrebbe dato un senso di maggiore completezza all’incontro.

“Sono andato via”. Un libro di Biagio Mannino.

Il libro di Biagio Mannino, Sono andato via, è stato presentato più volte in una serie ravvicinata di incontri che, iniziati presso la sala del Consiglio comunale di Monfalcone, sono poi proseguiti all’Associazione delle Comunità Istriane di Trieste e al Comune di San Canzian d’Isonzo per concludersi poi alla sala “Millo” di Muggia. Nel corso di tali eventi, è emersa una pluralità di elementi che hanno reso le presentazioni sempre differenti l’una dall’altra, mostrando come queste costituissero, in realtà, un unico percorso fatto di molteplici considerazioni ed osservazioni.

L’aspetto piacevole, curioso ed interessante è rappresentato già dal titolo: Sono andato via. Sostiene l’autore: «E’ risultata immediatamente una risposta da parte dei primi lettori, quando, alla visione del libro e del suo titolo, in modo automatico, lo collegavano allesperienza dell’esodo, quasi si trattasse di vicende esclusivamente riservate a quella componente istriana che ha vissuto la tragica esperienza».

Vi è nel libro una raccolta di testimonianze che unisce i protagonisti in un unico aspetto: quello, appunto, dell’essere dovuti andare via. Il periodo storico in esame si estende, oltre agli anni dell’immediato dopoguerra, anche ai momenti che hanno preceduto il terribile evento bellico.

«Se è vero che quegli accadimenti storici hanno provocato nei popoli conseguenze drammatiche, non possiamo prescindere dal fatto che tutto ha una causa ed un effetto e, di conseguenza, per comprendere al meglio le situazioni in oggetto, dobbiamo affrontare lo studio con una sorta di visione panoramica senza la quale potrebbe riuscirci molto difficile comprendere».

Infatti è la comprensione alla base della struttura narrativa: la comprensione del perché il popolo o, meglio, i popoli eterogenei della Venezia Giulia si siano trovati nella condizione di una contrapposizione tale da andare via e lasciare la propria vita quotidiana, la propria storia familiare, i propri affetti, la propria casa.

Non sono le vicende della politica, gli accordi internazionali, le biografie di noti personaggi ad essere i protagonisti, ma la quotidianità semplice della gente normale che, travolta dagli eventi, da osservatrice passiva si è ritrovata attrice attiva e che, ancora oggi, vive con fatica quel percorso intrapreso.

L’autore affronta infatti non solo la testimonianza diretta di chi c’era in quegli anni, ma anche valuta come le generazioni di oggi, di figli e di nipoti vivano le esperienze che a loro sono state tramandate dal ricordo dei loro padri e dei loro nonni.

Il ricordo, traslato in quelle che potremmo definire le generazioni contemporanee, diventa possesso di queste ma, molto spesso, esso trascina anche tutti quegli aspetti di emotività accesa, non tipici dell’età e dell’epoca contemporanea ma appartenenti ad anni ed eventi legati al passato.

«Due sostiene Biagio Mannino sono i gruppi generazionali. Il primo è rappresentato da chi ha avuto qualcuno che raccontasse loro le esperienze del passato. Nei componenti di questo gruppo possiamo trovare molti elementi di contrapposizione che, ancora oggi, nonostante la caduta dei confini, fanno permanere una situazione di oggettiva difficoltà comunicativa. L’altro gruppo è invece rappresentato da chi non ha avuto nessuno che raccontasse cosa accadde e, di conseguenza, affrontano con passionale curiosità un percorso di studio, di ricerca e di comprensione. Questi, a differenza dei primi, sono maggiormente aperti al confronto con le diverse parti».

Ed infatti sono proprio le parti contrapposte uno degli elementi che maggiormente risaltano nel libro: quelle persone, famiglie che si sono trovate ad essere collocate l’una contro l’altra in una sorta di divisione ideologica che si giustifica in una appartenenza sociale, etnica, culturale.

Livio Dorigo, Fabio Scropetta, Dimitrij Rupel, Stanka Hrovatin ed altri sono alcuni dei protagonisti del libro. Le loro storie si intrecciano tra il racconto delle proprie vicende storiche, le riflessioni su quanto è accaduto, le valutazioni di ciò che è oggi, le speranze, i propositi per il futuro di queste terre.

Così Livio Dorigo ricorda quando un medico, caro amico di famiglia che lo aveva curato sempre con attenzione ed affetto, in una manifestazione per le vie di Pola gli puntò una pistola sul petto dove l’unica motivazione era quella di trovarsi su fronti politicamente e nazionalisticamente differenti.

Fabio Scropetta valuta con serenità tutti gli avvenimenti tragici successi e non imputa responsabilità alla gente, ma auspica la vita comune nelle proprie diversità identificate come ricchezza.

L’ex console generale di Slovenia a Trieste, Dimitrij Rupel, sostiene che queste terre istriane e triestine siano le più belle del mondo.

Suzuki Tetsutada, sociologo giapponese studioso delle problematiche delle zone di confine, ritiene che oggi più che mai questo sia il momento per superare le reciproche diffidenze; altrimenti il rischio è quello di fare la fine della mela matura che, pronta per essere assaporata, se non raccolta, cade marcia.

E molte altre sono le riflessioni e le considerazioni che si trovano in questo libro, che pone il lettore di fronte a due possibilità: la prima è affrontarlo in una lettura semplice ma che non fornisce alcuna forma di riflessione e di arricchimento; la seconda è lì, a portata di mano. Basta avere la pazienza e la volontà, in particolare, di abbandonare per un attimo le proprie strutture mentali predefinite e lasciarsi andare all’ascolto di quanto viene dato, permettendo poi una meditazione, una comparazione della storia e delle memorie di tutti, riuscendo ad acquisire la consapevolezza che tutti sono vittime delle scelte politiche infelici. E questa valutazione è particolarmente importante oggi di fronte alle prospettive che il valore dell’Europa ha in queste terre.

La copertina del libro merita una considerazione. Un’immagine stilizzata dell’Istria e del golfo di Trieste è sorvolata da api che volando di fiore in fiore, impollinandoli, permettono la prosecuzione della vita. Un’immagine simbolica che non vede interruzioni nella sua spontanea naturalità. Ma una fotografia reale di una barriera materiale, fatta di filo spinato, rompe questa condizione. I confini di fatto, elemento plurale nella vita dell’Istria, frantumano la quotidianità della gente d’Istria trasformandola nelle genti d’Istria. Un plurale non da poco, un accadimento drammatico.

Un libro quindi da leggere, da conservare, da valutare attentamente nei suoi profondi significati di mantenimento della memoria collettiva e di superamento delle contrapposizioni.

Nota: il libro è scaricabile gratuitamente dal sito http://www.circoloistria.it .

Nota2: l’immagine in questo post è stata tratta da www. wikipedia. it.