Il libro di Biagio Mannino, Sono andato via, è stato presentato più volte in una serie ravvicinata di incontri che, iniziati presso la sala del Consiglio comunale di Monfalcone, sono poi proseguiti all’Associazione delle Comunità Istriane di Trieste e al Comune di San Canzian d’Isonzo per concludersi poi alla sala “Millo” di Muggia. Nel corso di tali eventi, è emersa una pluralità di elementi che hanno reso le presentazioni sempre differenti l’una dall’altra, mostrando come queste costituissero, in realtà, un unico percorso fatto di molteplici considerazioni ed osservazioni.
L’aspetto piacevole, curioso ed interessante è rappresentato già dal titolo: Sono andato via. Sostiene l’autore: «E’ risultata immediatamente una risposta da parte dei primi lettori, quando, alla visione del libro e del suo titolo, in modo automatico, lo collegavano all’esperienza dell’esodo, quasi si trattasse di vicende esclusivamente riservate a quella componente istriana che ha vissuto la tragica esperienza».
Vi è nel libro una raccolta di testimonianze che unisce i protagonisti in un unico aspetto: quello, appunto, dell’essere dovuti andare via. Il periodo storico in esame si estende, oltre agli anni dell’immediato dopoguerra, anche ai momenti che hanno preceduto il terribile evento bellico.
«Se è vero che quegli accadimenti storici hanno provocato nei popoli conseguenze drammatiche, non possiamo prescindere dal fatto che tutto ha una causa ed un effetto e, di conseguenza, per comprendere al meglio le situazioni in oggetto, dobbiamo affrontare lo studio con una sorta di visione panoramica senza la quale potrebbe riuscirci molto difficile comprendere».
Infatti è la comprensione alla base della struttura narrativa: la comprensione del perché il popolo o, meglio, i popoli eterogenei della Venezia Giulia si siano trovati nella condizione di una contrapposizione tale da andare via e lasciare la propria vita quotidiana, la propria storia familiare, i propri affetti, la propria casa.
Non sono le vicende della politica, gli accordi internazionali, le biografie di noti personaggi ad essere i protagonisti, ma la quotidianità semplice della gente normale che, travolta dagli eventi, da osservatrice passiva si è ritrovata attrice attiva e che, ancora oggi, vive con fatica quel percorso intrapreso.
L’autore affronta infatti non solo la testimonianza diretta di chi c’era in quegli anni, ma anche valuta come le generazioni di oggi, di figli e di nipoti vivano le esperienze che a loro sono state tramandate dal ricordo dei loro padri e dei loro nonni.
Il ricordo, traslato in quelle che potremmo definire le generazioni contemporanee, diventa possesso di queste ma, molto spesso, esso trascina anche tutti quegli aspetti di emotività accesa, non tipici dell’età e dell’epoca contemporanea ma appartenenti ad anni ed eventi legati al passato.
«Due – sostiene Biagio Mannino – sono i gruppi generazionali. Il primo è rappresentato da chi ha avuto qualcuno che raccontasse loro le esperienze del passato. Nei componenti di questo gruppo possiamo trovare molti elementi di contrapposizione che, ancora oggi, nonostante la caduta dei confini, fanno permanere una situazione di oggettiva difficoltà comunicativa. L’altro gruppo è invece rappresentato da chi non ha avuto nessuno che raccontasse cosa accadde e, di conseguenza, affrontano con passionale curiosità un percorso di studio, di ricerca e di comprensione. Questi, a differenza dei primi, sono maggiormente aperti al confronto con le diverse parti».
Ed infatti sono proprio le parti contrapposte uno degli elementi che maggiormente risaltano nel libro: quelle persone, famiglie che si sono trovate ad essere collocate l’una contro l’altra in una sorta di divisione ideologica che si giustifica in una appartenenza sociale, etnica, culturale.
Livio Dorigo, Fabio Scropetta, Dimitrij Rupel, Stanka Hrovatin ed altri sono alcuni dei protagonisti del libro. Le loro storie si intrecciano tra il racconto delle proprie vicende storiche, le riflessioni su quanto è accaduto, le valutazioni di ciò che è oggi, le speranze, i propositi per il futuro di queste terre.
Così Livio Dorigo ricorda quando un medico, caro amico di famiglia che lo aveva curato sempre con attenzione ed affetto, in una manifestazione per le vie di Pola gli puntò una pistola sul petto dove l’unica motivazione era quella di trovarsi su fronti politicamente e nazionalisticamente differenti.
Fabio Scropetta valuta con serenità tutti gli avvenimenti tragici successi e non imputa responsabilità alla gente, ma auspica la vita comune nelle proprie diversità identificate come ricchezza.
L’ex console generale di Slovenia a Trieste, Dimitrij Rupel, sostiene che queste terre istriane e triestine siano le più belle del mondo.
Suzuki Tetsutada, sociologo giapponese studioso delle problematiche delle zone di confine, ritiene che oggi più che mai questo sia il momento per superare le reciproche diffidenze; altrimenti il rischio è quello di fare la fine della mela matura che, pronta per essere assaporata, se non raccolta, cade marcia.
E molte altre sono le riflessioni e le considerazioni che si trovano in questo libro, che pone il lettore di fronte a due possibilità: la prima è affrontarlo in una lettura semplice ma che non fornisce alcuna forma di riflessione e di arricchimento; la seconda è lì, a portata di mano. Basta avere la pazienza e la volontà, in particolare, di abbandonare per un attimo le proprie strutture mentali predefinite e lasciarsi andare all’ascolto di quanto viene dato, permettendo poi una meditazione, una comparazione della storia e delle memorie di tutti, riuscendo ad acquisire la consapevolezza che tutti sono vittime delle scelte politiche infelici. E questa valutazione è particolarmente importante oggi di fronte alle prospettive che il valore dell’Europa ha in queste terre.
La copertina del libro merita una considerazione. Un’immagine stilizzata dell’Istria e del golfo di Trieste è sorvolata da api che volando di fiore in fiore, impollinandoli, permettono la prosecuzione della vita. Un’immagine simbolica che non vede interruzioni nella sua spontanea naturalità. Ma una fotografia reale di una barriera materiale, fatta di filo spinato, rompe questa condizione. I confini di fatto, elemento plurale nella vita dell’Istria, frantumano la quotidianità della gente d’Istria trasformandola nelle genti d’Istria. Un plurale non da poco, un accadimento drammatico.
Un libro quindi da leggere, da conservare, da valutare attentamente nei suoi profondi significati di mantenimento della memoria collettiva e di superamento delle contrapposizioni.
Nota: il libro è scaricabile gratuitamente dal sito http://www.circoloistria.it .
Nota2: l’immagine in questo post è stata tratta da www. wikipedia. it.