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Il mondo cambia… Riflessioni.

(di Anna Piccioni)

 

Quanto è fragile e precario il momento che stiamo vivendo. In questo angolo di mondo, la mia casa posso sentirmi sicura e tranquilla; ma la realtà fuori, forse un po’ più lontana, è piena di odio, rancore, violenza. Le notizie sono sempre foriere di venti pericolosi. La stabilità sociale è minacciata da intolleranza, rivendicazioni, vendette: basta un nulla perché tutto precipiti. “Il sonno della ragione genera morte” e da troppo tempo le coscienze e le menti stanno dormendo, prevale un istinto disumano che guarda al proprio interesse e alla propria sopravvivenza.
La morte di valori umani, sociali, politici ci stanno portando verso un abisso in qualsiasi direzione volgiamo gli sguardi.

Qualcuno dice che il mondo sta cambiando e di conseguenza anche l’uomo deve cambiare.
Dobbiamo procurarci nuove difese, nuove abilità in un mondo dominato dalla tecnologia, dalla robotica, dalla finanza. Ma siamo proprio sicuri che è così? O invece tutto questo vogliono farcelo credere per abbandonare le nostre capacità intellettive, critiche, razionali e adattarci a premere dei bottoni?
Zygmunt Bauman ha definito l’età contemporanea la società liquida dove prevale l’individualismo, il soggettivismo, l’antagonismo. I rapporti sono transitori e occasionali, siamo come gocce di olio sull’acqua che senza alcuna regola si uniscono e si dividono.

Bisognerebbe prendere coscienza se vogliamo tutto questo oppure ribellarsi. Una nuova rivoluzione culturale che riprenda i valori della solidarietà, del giudizio, della fratellanza per essere veramente liberi.

Questi pensieri così apocalittici sono dovuti ad alcune riflessioni sulla vicina, nel tempo e nello spazio, guerra dei Balcani, dopo i due viaggi fatti in Bosnia qualche anno fa, aver visto i luoghi (Mostar, Sarajevo, Srebrenica, Tuzla), aver ascoltato dalla viva voce le testimonianze di chi ha vissuto quella guerra assurda, e aver letto di Luca Leone1 “Višegrad”: da un giorno all’altro, l’amico fraterno, il vicino di casa diventa il nemico da uccidere, da violentare, da stuprare,da depredare.
Bastano poche persone, senza remore senza pietà, a formare bande paramilitari pronte a sfondare porte e teste; obbedendo più a un istinto criminale che a un ideale. L’ordine e la sicurezza non hanno senso; la povera gente costretta a fuggire ad abbandonare tutto.
Chi ci garantisce che tutto questo non ritorni? La situazione in Bosnia è ancora precaria, i nazionalismi prevalgono, ma soprattutto non c’è stata alcuna giustizia: pochi hanno pagato, molti carnefici continuano a vivere a fianco delle loro vittime, magari con ruoli importanti.

25 aprile… riflessione.

(di Biagio Mannino)

 

 

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Trieste – Risiera di San Sabba – 25 aprile 2017 – foto BM 2017.

In un momento storico in cui l’incertezza domina la vita del cittadino globale, in cui le guerre sono presenti in numero maggiore di quelle che vengono citate, in un momento storico in cui le tensioni internazionali sembrano riportare alla memoria episodi del passato dove Russia e Stati Uniti si contrapponevano in nome di visioni ed ideologie diametralmente opposte, in un momento storico in cui si parla di destra e sinistra quando destra e sinistra non ci sono più e a loro si aggiunge il “centro destra” o il “centro sinistra” poiché i nomi dei partiti sono talmente tanti e dei quali se n’è persa la memoria, in un momento storico in cui la differenza tra chi vive bene e chi cerca di sopravvivere si nota sempre di più, in un momento in cui la politica non riesce a cogliere le effettive esigenze del popolo mondiale, in un momento in cui i popoli mondiali si allontanano  dalla vecchia politica, in un momento in cui le relazioni sociali mostrano tutta la loro debolezza e gli abusi tra generazioni e generi sono all’ordine del giorno, quegli istanti rappresentati da quelle occasioni di partecipazione e riflessione che derivano dal ricordo di ciò che accadde, possono aiutare e anche consolare.
Tantissima partecipazione di gente, oggi, alla Risiera di San Sabba a Trieste.
La ricorrenza del 25 aprile ha portato numerosissime persone ad essere presenti al comune mantenimento del ricordo di ciò che accadde e che la speranza che non accada più si confronta con la realtà di massacri, guerre, persecuzioni, migrazioni forzate odierne.
Tutto accadeva e tutto accade, in modo diverso, nei metodi, nei numeri, nei mezzi, ma… accade.
E allora non serve celebrare? Non serve ricordare?
Mantenere ed imparare, essere presenti ed osservare per essere coscienti e consapevoli: questo ci dà il 25 aprile.
Un esempio per i tempi e per le generazioni, un’occasione, come quella di oggi, in cui accanto agli anziani che vissero quegli anni, erano presenti tante giovani famiglie con i loro bambini, i loro figli, testimoni oggi di ciò che fu ma che, altrove è.
L’evento specifico è sì importante ma il suo significato temporale ed intergenerazionale lo rende significativamente utile.
Associazioni, gruppi, autorità e tanti altri tra bandiere e stendardi, persone di ogni età, bambini e anziani. Giornalisti, noti personaggi della televisione. Discorsi, belli, brutti, adesso non si sente bene. Lei cerca di sentire. Silenzio. Muri di cemento grigio, finestre vuote. Cortile. Volantini, giornali. Canti di preghiera in ebraico, rappresentanti di tante comunità religiose. Qualcuno scherza, qualcuno litiga. Nuvole sulla Risiera e poi il sole, caldo. Chissà, in quei giorni, se guardavano il sole…

 

Nota: le immagini in questo post appartengono all’archivio Biagio Mannino.

Muri, muretti e fili spinati: l’elefante e la cristalleria.

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resti del Muro di Berlino – foto di Biagio Mannino.

(di Biagio Mannino)

 

Elefante…

La prima sensazione, quando vidi quel che restava del Muro di Berlino, fu di perplessità. Poi, gradatamente, di curiosità, di stupore, di imbarazzo, di conoscenza, di incredulità, di nuovo di stupore, di consapevolezza e, infine, di tristezza.
Una serie di passi nella riflessione per cercare cosa nella mente umana possa portare a ritenere opportuna l’idea di costruire un muro intorno ad una città, chiudere centinaia di migliaia di persone in un recinto di cemento, la scelta di dividere le persone, dai loro affetti, dalla loro vita.
Quelle sensazioni le avvertii e le avverto tuttora, quando vedo un confine, una sbarra che mi blocca,  che mi impedisce di camminare lungo la strada che io voglio segnare.
E lì, fermo nella attesa di poter passare, nella speranza di poter proseguire, vedo volare in alto, nel cielo, uccelli totalmente indifferenti alle strane logiche degli uomini.
Confini, sbarre e poi muri e fili spinati. Questa è l’Europa del XXI secolo, questo è il mondo di oggi.
Proteggersi, sì, ma… da cosa?

Cristalleria…

I dati demografici ci mostrano come, nel 2050, la popolazione mondiale raggiungerà i nove miliardi di persone.
La gran parte di questi sarà suddivisa tra le aree più povere del mondo situate in Africa, Asia e Sud America.
Le emergenze aumenteranno a causa dei cambiamenti climatici che, progressivamente, inaridiranno territori dai quali la gente andrà via.
Il fabbisogno di cibo aumenterà e l’acqua diverrà un vero e proprio lusso, un oro blu.
Le guerre per il controllo delle risorse primarie provocheranno esodi e milioni di profughi.
Le stesse guerre non potranno essere più classificate con metodi tradizionali ma a quelle di tipo “classico” si aggiungeranno quelle economiche e climatiche.
I Paesi occidentali avranno un percorso di calo demografico dovuto non solo all’invecchiamento della popolazione ma anche dalla riduzione della natalità.
La forza lavoro calerà vistosamente e la necessità di “importarne” da altrove… aumenterà.
E la risposta a tutto questo? I muri!
Elefante…

Una cronica situazione di emergenza che fa prendere le decisioni nel momento, ormai divenuto una costante, che non guarda al lungo periodo nonostante le grida di allarme date, semplicemente, dai numeri.
Protezionismo, de – globalizzazione, de – europeizzazione, sembrano essere i percorsi risolutivi presi da un opinione politica mondiale dove, tra nazionalismi crescenti, desideri di uomini forti al comando, del guardare prima “a noi” che “a loro”, fa perdere di vista del tutto l’unica via possibile ad un effettivo tentativo di soluzione: la collaborazione.
Problemi mondiali: crisi lavorativa, clima, acqua, cibo, guerre, aumento demografico. Non sono sufficienti a un lavoro comune?
Nell’epoca in cui la comunicazione ci rende cittadini del mondo, dove la possibilità di vedersi da un continente all’altro è un dato di fatto, dove tutti vogliono essere come tutti, nell’era contemporanea, improvvisamente ci si accorge di essere in un mondo virtuale, fatto di connessioni, di web, di sogni, dove la realtà è, al contrario, fatta di muri, di sbarre, di barriere, di permessi di soggiorno, di cittadini comunitari ed extra comunitari. Sì, extra comunitari, come gli inglesi, tra un po’.
Andate a Berlino, a Trieste, a Gorizia, a Budapest, a Sarajevo per capire cosa abbiano fatto i confini. Andate a Pola, ad Atene, a Salonicco, a Bonn e ovunque l’Europa abbia vissuto esperienze derivanti dalle scelte politiche.
L’Europa senza confini è un esempio per il mondo intero e ancor di più se torniamo con la memoria a cento anni fa, quando in questo Continente ci si ammazzava a milioni in una guerra statica, ferma nelle trincee.
Sono passati solo cento anni e se osserviamo quello che accadeva allora troviamo molte singolari somiglianze con certi aspetti di oggi.
Eppure l’impressione è che i popoli europei, a dispetto delle considerazioni di Trump, sentano l’appartenenza all’Unione Europea ma che una certa politica non la veda.
Fenomeni immensi, grandi cambiamenti, un elefante che si muove, lentamente, goffamente, indifferente e quei muri, sì, quelli di Trump, di Orban, di altri appassionati delle costruzioni, sono un po’ come quei delicati bicchieri esposti lì, fermi nelle polverose ingiallite e opache vetrine di una vecchia cristalleria chiamata “individualismo”.