(di Biagio Mannino)
Donald Trump ha vinto.
Sì, contro ogni previsione ha vinto. Anche se… le previsioni, erano sbagliate.
Le elezioni USA 2016 rappresentano e devono rappresentare, un momento di seria riflessione per l’intera classe politica mondiale.
Non è più possibile ragionare per compartimenti stagni e ciò che succede altrove, che sia la Gran Bretagna, che sia l’Italia, che siano, come in questo caso, gli Stati Uniti, non solo ha implicazioni, ma anche cause comuni.
La vittoria di Trump alle elezioni presidenziali ha lasciato attoniti tutti i commentatori, gli opinionisti, i politologi, gli analisti, i sondaggisti, i sociologi e gli stessi politici, ma… molto meno i veri protagonisti: gli elettori.
Ormai sembra chiaro che il distacco tra l’insieme dei “tecnici”, ovvero quell’elenco sopra citato, tenda sempre più ad allontanarsi da chi la politica la vuole vivere nei suoi effetti concreti, ovvero, nei risultati, i quali, a loro volta, significano miglioramento della propria vita quotidiana e prospettive per il futuro.
La campagna elettorale americana ha evidenziato come la politica non dia queste risposte ma si occupi maggiormente di convincere, di vendere un prodotto che, nel caso in oggetto, si chiama Presidente.
E allora la comunicazione politica si concentra sui colpi ad effetto e sugli slogan ma poco o nulla contano i progetti, poco o nulla conta la politica, quella vera, l’arte del possibile.
Si scontrano, di conseguenza, due mondi di cui uno, quello dei politici, sembra non conoscere l’altro, quello degli elettori, dei cittadini,che, al contrario, conosce bene proprio quello… dei politici.
Comunicatori e consulenti lanciano il messaggio per convincere e ottenere il risultato, la vittoria. Ma l’elettore si aspetta che da quella vittoria inizi un altro genere di risultato: la conduzione responsabile della cosa pubblica.
La crisi economica e finanziaria non ha affatto finito di provocare le sue vittime e la miseria globalizzata si accompagna a quella globalizzazione che ha portato benefici solo a pochi, a coloro i quali l’hanno saputa utilizzare.
Le aspettative che la povertà e la miseria, l’emigrazione e lo Stato sociale sempre più in difficoltà, rappresentassero problemi risolvibili, sono solo alcuni degli ingredienti di quel dolce tanto desiderato che sembrava trovare spazio nello “Yes we can” di Obama. Quel dolce scoperto amaro in un mondo in attesa di un reale cambiamento.
Decisamente curioso è constatare come lo stupore dopo queste elezioni derivi dal fatto che la continuità non c’è più e che gli elettori, ovvero i cittadini, si facciano sentire con il loro strumento di democrazia: il voto.
Quel voto diventa, non banalmente, forma di protesta e forte richiesta che la politica non punti più a vincere ma a governare.
E allora la causa della vittoria di Trump di chi è?
Qualcuno dice che quegli elettori sono “ignoranti”, qualcun altro, come nel caso della Brexit, sostiene che determinati argomenti non dovrebbero essere oggetto di consultazioni elettorali.
Il risultato è la vera espressione della democrazia ed è quello che deve essere analizzato. Se il cittadino decide in quel senso è la democrazia che vince.
Trump e Brexit: sono solo alcuni dei segnali della volontà di cambiamento da parte di una comunità mondiale che reagisce alle difficoltà con sistemi drastici, proteggendosi dall’altro costruendo muri come nel Medio Evo si circondavano i castelli con i fossati, allontanando l’altro perché nella guerra tra poveri non c’è spazio per tutti e le barzellette nella campagna elettorale americana non bastano più agli operai dell’acciaio a ritrovare quella serenità persa ormai da molti anni.
Lo “Yes we can” si è concluso. Uno slogan nato per vincere e che ha fatto vincere e poi ripreso in tutto il mondo, anche qui, in Italia, e con la sconfitta della Clinton ha mostrato tutta la sua debolezza.
Cambiare significa abbandonare le scelte precedenti e quella scelta, quella di candidare Hillary Clinton, è stata vista come un vero e proprio ritorno al passato che non si voleva più.
L’era Obama si conclude e quella funzione che aveva il primo Presidente Afro Americano, di traghettare gli USA dalla politica di Bush a quella del futuro, è tornata improvvisamente al passato per opera dello stesso Partito Democratico che, già dalle primarie, aveva scelto la Clinton.
Ora il futuro degli Stati Uniti è Donald Trump. Una scelta democraticamente espressa dai cittadini americani conoscitori della loro reale situazione quotidiana.
Capita spesso di valutare guardando gli USA con gli occhi degli europei, aspettandosi figure più vicine a posizioni di politica estera e non interna. Ed è qui il problema: ogni elettore conosce la propria realtà e poco gli importa di cosa succede al di là di casa sua.
Obama entra nella storia come tutti i suoi predecessori. Entra in modo importante e verrà ricordato tra i più rappresentativi Presidenti degli Stati Uniti ma quel grande messaggio, quello “Yes we can” si è trasformato da una grande speranza ad un grande spot pubblicitario.
Caro Biagio, sono la tua “vecchia” Prof. di Lettere. La tua è secondo me è una buona analisi, ma temo che l’elezione di Trump si possa rivelare una grande delusione. Delusione, amarezza, disperazione ho visto nella gente in California, da dove sono rientrata ieri, dai miei figli ai loro colleghi, ai tanti lavoratori messicani terrorizzati di essere cacciati via. E’ vero che il voto è democrazia e che le masse hanno deciso così ( anche se come sai meglio di me di voti ne ha avuti di più la Clinton), ma le masse non sempre sono sagge, non dico che siano cretine, ma vedi la nascita del nazismo e l’accoglienza fatta a Hitler o il comportamento degli Italiani di fronte alla dichiarazione di guerra o all’introduzione delle leggi razziali… Non sarei così fiduciosa, anzi sono molto, molto preoccupata, e non per l’Italia, per l’America. Ciao, e congratulazione per la tua carriera di giornalista!
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