
(di Biagio Mannino)
Elefante…
La prima sensazione, quando vidi quel che restava del Muro di Berlino, fu di perplessità. Poi, gradatamente, di curiosità, di stupore, di imbarazzo, di conoscenza, di incredulità, di nuovo di stupore, di consapevolezza e, infine, di tristezza.
Una serie di passi nella riflessione per cercare cosa nella mente umana possa portare a ritenere opportuna l’idea di costruire un muro intorno ad una città, chiudere centinaia di migliaia di persone in un recinto di cemento, la scelta di dividere le persone, dai loro affetti, dalla loro vita.
Quelle sensazioni le avvertii e le avverto tuttora, quando vedo un confine, una sbarra che mi blocca, che mi impedisce di camminare lungo la strada che io voglio segnare.
E lì, fermo nella attesa di poter passare, nella speranza di poter proseguire, vedo volare in alto, nel cielo, uccelli totalmente indifferenti alle strane logiche degli uomini.
Confini, sbarre e poi muri e fili spinati. Questa è l’Europa del XXI secolo, questo è il mondo di oggi.
Proteggersi, sì, ma… da cosa?
Cristalleria…
I dati demografici ci mostrano come, nel 2050, la popolazione mondiale raggiungerà i nove miliardi di persone.
La gran parte di questi sarà suddivisa tra le aree più povere del mondo situate in Africa, Asia e Sud America.
Le emergenze aumenteranno a causa dei cambiamenti climatici che, progressivamente, inaridiranno territori dai quali la gente andrà via.
Il fabbisogno di cibo aumenterà e l’acqua diverrà un vero e proprio lusso, un oro blu.
Le guerre per il controllo delle risorse primarie provocheranno esodi e milioni di profughi.
Le stesse guerre non potranno essere più classificate con metodi tradizionali ma a quelle di tipo “classico” si aggiungeranno quelle economiche e climatiche.
I Paesi occidentali avranno un percorso di calo demografico dovuto non solo all’invecchiamento della popolazione ma anche dalla riduzione della natalità.
La forza lavoro calerà vistosamente e la necessità di “importarne” da altrove… aumenterà.
E la risposta a tutto questo? I muri!
Elefante…
Una cronica situazione di emergenza che fa prendere le decisioni nel momento, ormai divenuto una costante, che non guarda al lungo periodo nonostante le grida di allarme date, semplicemente, dai numeri.
Protezionismo, de – globalizzazione, de – europeizzazione, sembrano essere i percorsi risolutivi presi da un opinione politica mondiale dove, tra nazionalismi crescenti, desideri di uomini forti al comando, del guardare prima “a noi” che “a loro”, fa perdere di vista del tutto l’unica via possibile ad un effettivo tentativo di soluzione: la collaborazione.
Problemi mondiali: crisi lavorativa, clima, acqua, cibo, guerre, aumento demografico. Non sono sufficienti a un lavoro comune?
Nell’epoca in cui la comunicazione ci rende cittadini del mondo, dove la possibilità di vedersi da un continente all’altro è un dato di fatto, dove tutti vogliono essere come tutti, nell’era contemporanea, improvvisamente ci si accorge di essere in un mondo virtuale, fatto di connessioni, di web, di sogni, dove la realtà è, al contrario, fatta di muri, di sbarre, di barriere, di permessi di soggiorno, di cittadini comunitari ed extra comunitari. Sì, extra comunitari, come gli inglesi, tra un po’.
Andate a Berlino, a Trieste, a Gorizia, a Budapest, a Sarajevo per capire cosa abbiano fatto i confini. Andate a Pola, ad Atene, a Salonicco, a Bonn e ovunque l’Europa abbia vissuto esperienze derivanti dalle scelte politiche.
L’Europa senza confini è un esempio per il mondo intero e ancor di più se torniamo con la memoria a cento anni fa, quando in questo Continente ci si ammazzava a milioni in una guerra statica, ferma nelle trincee.
Sono passati solo cento anni e se osserviamo quello che accadeva allora troviamo molte singolari somiglianze con certi aspetti di oggi.
Eppure l’impressione è che i popoli europei, a dispetto delle considerazioni di Trump, sentano l’appartenenza all’Unione Europea ma che una certa politica non la veda.
Fenomeni immensi, grandi cambiamenti, un elefante che si muove, lentamente, goffamente, indifferente e quei muri, sì, quelli di Trump, di Orban, di altri appassionati delle costruzioni, sono un po’ come quei delicati bicchieri esposti lì, fermi nelle polverose ingiallite e opache vetrine di una vecchia cristalleria chiamata “individualismo”.