Siria: quando guerra e comunicazione politica coincidono.

(di Biagio Mannino)

 

Donald_Trump_official_portrait
Donald Trump

L’intervento militare in Siria voluto da neo Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha sorpreso per la velocità nel prendere, e realizzare, una decisione dagli effetti sicuramente gravi ed imprevedibile nelle conseguenze.
Le vicende tormentate e drammatiche che colpiscono la Siria in generale ed il suo popolo in particolare, caratterizzano la storia degli ultimi anni: guerra civile allargata in ambito internazionale, interessi contrapposti, presenza di potenze straniere in modo attivo e tanto altro ancora accompagnano migliaia di morti ed un numero infinito di migranti, o meglio, profughi, o meglio ancora, persone in cerca di vivere lontano da luoghi in cui i giochi della politica globale sembrano badare, o non badare, a fasi alterne, a tutto quello che la gente vive direttamente.
Persone che scappano, che cercano rifugio altrove, dove vengono accolte malvolentieri, persone che muoiono sotto le bombe e altre cose, come quei gas che pochi giorni fa hanno prodotto disastri tra la popolazione.
Il mondo si indigna. Ma si doveva arrivare ai gas per indignarsi?
Non era sufficiente il numero dei morti, dei profughi, della distruzione materiale e morale di uno Stato che oggi è la Siria, ma ieri era l’Iraq, e prima ancora la Jugoslavia e tanti altri ancora fino al prossimo, quello che risponderà delle strategie e delle pianificazioni geopolitiche.
Donald Trump ritiene che tutto questo debba… finire! O forse… quel “finire” meriterebbe un bel “?” conclusivo?
Se osserviamo i primi mesi del mandato di Trump sono i dissensi, le contestazioni, le opposizioni e, in generale, gli insuccessi ad accompagnare il Presidente.
“America first” appare uno slogan molto debole e che non trova una corrispondenza creando una disillusione in quelle aspettative degli elettori di Trump mentre, a livello internazionale, il progressivo isolamento degli USA cresce portando l’Unione Europea e la Cina a posizioni sempre più vicine e lasciando Trump nella condizione di guardare al Regno Unito più come una necessità che una effettiva risorsa.
Se poi prendiamo in considerazione il fallimento portato dalla tenuta della riforma sanitaria di Obama, dalle sentenze di svariate Corti di netta opposizione alle politiche sull’immigrazione, è facile intuire come Trump, a soli due mesi e mezzo dal suo insediamento, sia in evidente difficoltà e, come se non bastasse, fortemente osteggiato dal sistema mediatico statunitense.
In un sistema, quello USA, che fa della comunicazione e, in particolare, della comunicazione politica il punto di rotazione principale tra chi governa e chi è governato, diviene necessario un segnale di forza, di decisionismo, di protagonismo sulla scena e sulla scena mondiale, occorre, appunto, “America first”!
Un palcoscenico: la Siria, un motivo: la strage di popolazione portata dai gas, un nemico classico: la Russia. Sembrano gli ingredienti perfetti per un messaggio al mondo, per un messaggio ai propri elettori.
E così la guerra diviene comunicazione così come a questo intervento, valutati gli effetti mass mediatici, seguirà qualche altra decisione e il popolo di turno ne subirà le conseguenze.
C’è un problema però: la politica estera non fa mai vincere le elezioni. Al contrario le fa perdere poiché, alla fine, il cittadino – elettore, guarda nelle sue tasche e, se sono vuote, cambia rapidamente idea e così se l’isolazionismo “America first” di Trump dovesse continuare, avrà la conseguenza di una sorta di sconvolgimento del sistema economico e nulla più provocando disoccupazione, miseria e, di nuovo, guerre.
Il Risiko planetario continua… peccato però che non sia un gioco.

 

NOTA: l’immagine in questo post è tratta da www. Wikipedia. it.

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