Padre Luciano Larivera e la povertà. IL PODCAST.

Il vento di nord est presenta, in podcast, la relazione di Padre Luciano Larivera, Direttore del Centro Culturale Veritas di Trieste.
In piena pandemia, nel vortice di tutte le conseguenze che derivano dalle decisioni prese per far fronte all’emergenza, ci si accorge di quanto il mondo sia diviso e gli uomini lontani tra loro.
Luciano Larivera dedica la sua importante riflessione alla povertà oggi.
Ascolta il podcast: https://www.spreaker.com/user/12881193/luciano-larivera-e-la-poverta

NOTA: si ringrazia Luciano Larivera per aver autorizzato la diffusione del podcast.

La lettera al blog. E allora perché non dare del lui?


La lettera al blog.

Ho ritenuto di pubblicare su Il vento di nord est la mail che è giunta attraverso la sezione Contatti.
La richiesta è stata quella di renderla visibile a tutti e, sicuramente, gli spunti di riflessione, in riferimento all’argomento trattato, sono molti e meritevoli di attenzione poiché ben si collocano nel contesto dei cambiamenti della società contemporanea.

E allora perché non dare del lui?
(di Il Grillo Scrivente)

Sono in tanti a ritenere che sia giusto dire i nomi delle professioni e degli incarichi politici al femminile se ci si riferisce ad una donna: quindi, ad esempio, bisognerebbe utilizzare i termini “sindaca”, “ministra” (quando lo sento, penso alla minestra), “avvocata”,…… E allora perché non si dice “dare del lui” se ci si riferisce ad un uomo? Perché non si dice “il guardio” se la guardia è un uomo? Significherebbe riconoscergli la sua virilità…
Eppure una donna di successo come l’ex ministro Giulia Bongiorno voleva essere chiamata “ministro” perché riteneva che ciò che contava era la professione, motivo per il quale “lotta” per essere chiamata “avvocato”…. Eppure una donna di successo come il più giovane direttore d’orchestra italiana Beatrice Venezi, che l’anno scorso ha inaugurato la Prima al teatro lirico “Alla Scala” di Milano, vuole essere chiamata “direttore” perché ritiene che non sia assolutamente necessario specificare il genere di un professionista….

Tanti dicono che molte donne, intimorite o frenate dagli stereotipi di genere, non hanno ancora il coraggio di iscriversi alle facoltà di carattere scientifico, dove gli studenti iscritti sono per la maggior parte uomini. Allora enti, associazioni e università organizzano attività per aiutare le donne a vincere le loro paure e/o pregiudizi e avvicinarsi a tali materie. Ma come mai non si svolgono attività per aumentare la presenza maschile nelle facoltà umanistiche, dove la maggior parte degli studenti iscritti sono donne? Nessuno pensa che forse molti uomini non hanno ancora il coraggio di iscriversi a queste facoltà perché hanno paura di essere considerati poco virili? O che forse molti di loro subiscono ancora il pregiudizio secondo il quale un uomo è più adatto a frequentare facoltà scientifiche e a diventare un matematico, un biologo, un ingegnere, eccetera? Come mai nessuno organizza attività per far capire agli uomini che non è scarso segno di virilità essere interessati alle Lettere o alla letteratura?

Visto che non si parla d’altro che di parità di genere, non si dovrebbe avere verso il mondo maschile le stesse preoccupazioni che si hanno verso quello femminile?

NOTA: l’immagine in questo post è opera di Biagio Mannino.

Referendum: trionfano i SI. Ma l’Italia vince o… perde?

(di Biagio Mannino)
Oltre il 54% degli aventi il diritto al voto si sono presentati alle urne. Una affluenza importante numericamente e non solo.
Era questo, infatti, il Referendum in piena emergenza da Corona virus e non era scontata una presenza così importante alle urne.
Molto ha aiutato la concomitanza con le elezioni regionali e comunali ma, in ogni caso, dal punto di vista della partecipazione, la voglia di essere lì, di essere presenti, da parte degli italiani, si è confermata.
Sì, la voglia di partecipare, di esserci, nonostante tutto, nonostante mesi di angoscia provocati dall’epidemia, nonostante che poi, alla fine, poco si sia detto sul Referendum in sé.
Un percorso particolare però. Un percorso fatto concretamente ed orgogliosamente di volontà, di voglia tenace di esercitare la propria sovranità, proprio quella,quella sancita dal secondo comma dell’articolo 1 della Costituzione e, contemporaneamente, vedere che il 70% dei voti sia andato nella direzione della riduzione dei parlamentari.
Un percorso che, di fatto, porta la rappresentanza ad essere ridotta di ben un terzo, che avrà come conseguenza di lasciare scoperte aree geografiche e vedere le proprie esigenze appoggiate da altri che, di quei territori, non fanno parte e, presumibilmente, poco ne conoscono della storia, delle tradizioni, dei propri problemi.
Partecipare in tanti per aver poi pochi rappresentanti. Sì, strano davvero.
Tanti commenti nei contenitori giornalistici dei diversi sistemi mediatici.
Tanti commenti indirizzati alla tenuta del Governo, alla tenuta o ai diversi cambi di colore in alcune Regioni, in alcuni Comuni. Tanti commenti su come il voto si è indirizzato e tutte le diverse prospettive all’orizzonte.
Pochi nei confronti del Referendum, a quel risultato, a quel 70% di SI, con quella determinante riduzione di Deputati e Senatori che stride con l’interesse dimostrato nei confronti dell’esercizio proprio del voto nelle Regioni e nei Comuni.
Si inizia a discutere: bisogna cambiare la legge elettorale. Disegnare i nuovi collegi perché, adesso, i parlamentari sono decisamente di meno e le aree territoriali dovranno necessariamente essere ridefinite, alcune unite, altre accorpate.
Una legge elettorale di tipo proporzionale, si dice.
Una legge elettorale di tipo proporzionale che garantisca… la rappresentatività ma… con soglia di sbarramento al 5%.
Allora, il risultato, è il seguente: meno parlamentari, legge proporzionale con soglia di sbarramento al 5% comportando per le minoranze, indifferentemente quali siano, indifferentemente cosa o chi rappresentino, la probabile estinzione dal contenitore democratico per eccellenza, ovvero, il Parlamento.
Quando si vota, ed in particolare ad un referendum, si esprime la propria volontà. Si contribuisce a prendere una decisione. Se prevalgono i SI o i NO si arriva ad una decisione ma non ci sono vincitori o perdenti. Semplicemente si è giunti ad una conclusione.
Il problema però si pone su come possiamo interpretare gli effetti di questa decisione, sul nostro sempre più inconsapevole ruolo di cittadini attivi nella vita politica, di portatori di principi e valori democratici e se, da un lato, i SI hanno decisamente vinto, dall’altro, l’Italia, sembra proprio aver perso.