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Alcune note sull’identità.

(di Anna Piccioni)
Capita anche voi come Vitangelo Moscarda il personaggio di “Uno nessuno centomila” quando la moglie gli fa notare che ha il naso che pende…di accorgervi che ‘altro vi vede in maniera diversa di come da tempo voi i vedete. Moscarda arriverà alla follia per pretendere che gli altri lo vedano come si vede lui. A chi non è mai capitato di chiedersi “…ma chi sono io?” Si prova a volte una specie di straniamento di fronte alla nostra immagine riflessa oppure nel vedere il nostro nome scritto. Noi siamo quello che gli altri ci dicono, noi ci riflettiamo negli altri e gli altri si riflettono in noi. Ma il problema sorge quando chi ci sta di fronte ha un’altra pelle. Non ci riconosciamo in lui , ma nemmeno lui si riconosce in noi. Ci spaventiamo quando ci riflettiamo in un altro diverso da noi: allora l’altro diventa una minaccia alla nostra identità.
Siamo se ci confrontiamo con l’altro, incontro non scontro anzi come dice Lèvinas, filosofo del dialogo, bisogna camminare a fianco dell’altro
“… l’identità di ciascuno si definisce a partire dalla relazione con l’altro, per questo è una parola densa di conflitti e contraddizioni, per definirla serve sempre un’alterità, qualcuno o qualcosa con cui confrontarsi e da cui differenziarsi.” (presentazione di Marco Baliani e Maria Maglietta allo spettacolo teatrale IDENTITA’).
Come scrive Saul Bellow l’identità di un essere umano è quella definita dal racconto della sua vita, per estensione l’identità di un popolo o di una società umana sarebbe la sua storia.
Amin Maaluf nel saggio “Identità”scrive :La mia identità è ciò che fa sì che non sia identico a nessun’altra persona…Bisognerebbe fare talvolta il “proprio esame di identità”, non tanto per evidenziare le appartenenze essenziali, quanto per scoprire il maggior numero di elementi che ci legano ad altri individui e nello stesso tempo che fanno di ognuno di noi un caso particolare : complesso, unico, insostituibile.

Il termine identità può essere declinato in vari modi, sociale razziale, nazionale, religioso, sessuale, ma queste sono tutte categorie che sono utili solo per rafforzare la propria appartenenza. Nel breve saggio “Identità” Adriano Prosperi mette in evidenza come stia sempre più crescendo il bisogno di “identità”, ma accanto a identità, “radici” e “etnicità”. “Parole che sono diventate abituali nel nostro linguaggio ma che possono diventare pietre perché, come tutto ciò che serve a distinguere e a prendere coscienza di una separazione, contengono un potenziale violento pronto a giustificare aggressioni civili e guerre. È dietro queste parole che vediamo alzarsi in piedi individui collettivi di cui si presuppone una naturalistica e inassimilabile diversità. Ma nessuna definizione, per quanto acuta ed elegante, può impedirci di avvertire dietro questa parola, apparentemente così semplice e innocua, l’eco sorda della risacca della storia e dei rapporti di forza che ha ripreso a fare intensamente il suo antico lavoro: scaraventa sulle rive più diverse popoli e individui, quando non li cancella inabissandoli nel fondo del mare.”
Va sottolineato che se ragioniamo un po’ siamo più identici con i nostri contemporanei che non con i nostri antenati
Una volte il noi e il loro era interpretato dall’Europa e il resto del mondo, conquistato sfruttato
Oggi viviamo una grande contraddizione: viviamo in un mondo globalizzato dove le distanze sono diminuite e esiste una certa omologazione del pensiero grazie a internet eppure diventa ancora più difficile confrontarsi con l’altro e si difende a spada tratta la propria appartenenza: contrapponiamo un Noi superiore con un Loro spregiativo. Ma la cosa può essere anche ribaltata. Chi ci dà il diritto di essere i migliori.
Erodoto ne le “Storie” invita a mettersi in cammino per conoscere l’altro.

 

Tu non sei i tuoi anni – Ernest Hemingway

Tu non sei i tuoi anni,

nè la taglia che indossi,

non sei il tuo peso
o il colore dei tuoi capelli.

Non sei il tuo nome,

o le fossette sulle tue guance,

sei tutti i libri che hai letto,

e tutte le parole che dici

sei la tua voce assonnata al mattino

e i sorrisi che provi a nascondere,

sei la dolcezza della tua risata
e ogni lacrima versata,

sei le canzoni urlate così forte,

quando sapevi di esser tutta sola,

sei anche i posti in cui sei stata
eil solo che davvero chiami casa,

sei tutto ciò in cui credi,

e le persone a cui vuoi bene,

sei le fotografie nella tua camera
e il futuro che dipingi.

Sei fatta di così tanta bellez

ma forse tutto ciò ti sfugge

da quando hai deciso di esser

tutto quello che non sei.

Ernest Hemingway

 

Letture consigliate:
Ryszard Kapuściński “L’altro”
Adriano Prosperi “Identità”
Amin Maaluf “L’identità”

 

 

L’Italia entra nell’era della comunicazione politica “preventiva”.

 

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Giuseppe Conte – Presidente del Consiglio dei Ministri

(di Biagio Mannino)

Dopo tre mesi di discussioni, accordi divenuti poi disaccordi, litigi, insulti, riappacificazioni, nuovi litigi e nuove riappacificazioni, dopo ben cinque consultazioni e tre incarichi, dopo svariati ipotesi di Presidenti del Consiglio e tipologie di maggioranze, dopo varie volte dove le elezioni sembravano essere pronte, dopo averle viste slittare sempre più in là, l’Italia ha il suo Governo.
La notizia non è certo una novità ma questa esperienza politico – parlamentare non può che invitare a prendere in considerazione certi aspetti dell’evento in sé.
Il percorso della nascita del nuovo Governo ha mostrato, in certi momenti, una vera e propria situazione di impossibilità a giungere a delle effettive soluzioni.
Tanti i veti e le condizioni che, alla fine, si trasformavano solo in una sorta di spettacolo per i cittadini attoniti di fronte a quello che sembrava essere un “grande Fratello” della comunicazione, avente a protagonisti proprio i leader della politica italiana e, in certi momenti, anche estera.
Ma, sottolineiamo, non il Grande Fratello di George Orwell bensì, il decisamente diverso “GF” della televisione che, dal 2001, rallegra, annoia e tormenta le serate dei telespettatori.
Sì, dei telespettatori che guardano i Reality Show e che guardano i Talk Show dove, tra litigi in diretta e insulti misti a pseudo riflessioni, confondono lo spettatore al punto di vedere impostato un linguaggio unico in due strutture televisive.
Spettacolo e politica seguono allora il medesimo percorso ed è quello della continua e costante contrapposizione.
Il tutto, se riteniamo che la televisione abbia anche una funzione educativa, diviene strumento di convincimento ed allontanamento, di pressione, e di disillusione, di convinzione e di abbandono.
Non c’è più limite alla ricerca del successo numerico: non c’è nel consenso politico che deve essere a prescindere, deve essere nel contesto televisivo mediatico dove il numero alto è potenziale pubblicitario.
La campagna elettorale diviene continua e costante, in Italia come ovunque nei contesti democratici e allora subentra l’elemento “preventivo”.
Se analizziamo le esperienze precedenti in cui la formazione di nuovi Governi caratterizzava l’attenzione, vediamo come la definizione preventiva diviene un elemento che assume una progressiva importanza.
Era il 2011 quando alla caduta del Governo Berlusconi era sufficiente descrivere il Loden di Mario Monti per avere delle aspettative di un sicuro miglioramento della situazione economica e finanziaria italiana.
Fu forse l’inizio di una sorta di attenzione ai particolari insignificanti per avviare un percorso di lettura del futuro istituzionale. Un cappotto come i disegni nel braciere della maga pronti per essere letti ed interpretati.
E così, quando arrivò Matteo Renzi, la valutazione preventiva interpretava le stelle segnando una via di sicuro successo e capacità politica per una struttura di Governo giovane e nuova. Ma i risultati poi si sono visti e basta valutare cosa è rimasto del PD per capire bene che, forse, il giudizio preventivo, richiederebbe maggiore attenzione.
Adesso siamo al punto di partenza ma, questa volta, forse per non ripetere gli errori entusiastici del passato, assistiamo ad un giudizio preventivo del tutto opposto: solo una catastrofe è posta alla fine del cammino del nuovo Governo Conte!
Fare un elenco di disastri possibili renderà un successo un piccolo risultato. E così la battaglia politica preventiva rischia di divenire un vero e proprio aiuto per chi, alla fine, lascia il gioco della comunicazione agli altri.
Se ne sentono di tutti i tipi, quasi una ricerca scientifica del problema e del difetto ma, nei fatti, quelli specifici, poco o niente.
Allora quel Reality Show rischia di diventare costruito, finto, fasullo in tutte le sue espressioni e il cittadino – spettatore – elettore da un disorientamento iniziale comincia a scuotere la testa ed uscire dal torpore. Entra in scena Orwell, con il suo Grande Fratello, quello vero, con un’analisi oggettiva del metodo di comunicazione politica che porta l’incosciente a divenire cosciente e poi, proprio perché cosciente, indotto a ritornare nell’incoscienza.
Ma questa volta la convinzione, e solo quella, che tutto sia giusto, preventivamente o non preventivamente, c’è.

 

NOTA: l’immagine in questo post è tratta da www. Wikipedia. it. 

L’Università della Terza Età di Monfalcone: breve storia di un’esperienza personale.

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Come definire la mia esperienza presso l’Università della Terza Età del Monfalconese? Semplicemente… gratificante!
Personalmente ho molta esperienza e conoscenza del settore e ho avuto modo di frequentare un ampio numero di strutture come questa.
Anche quella di Monfalcone è, per me, importante come le alte. Quella di Monfalcone, che comunemente chiamiamo Ute, rappresenta un appuntamento al quale guardo sempre con aspettative e gran voglia di incontrare i frequentanti del mio corso.
Sì, un appuntamento, perché definire “lezione” o “incontro” quel momento, mi sembrerebbe riduttivo.
Normalmente è il lunedì il giorno in cui vengo a Monfalcone a tenere il corso “Analisi della politica”.
Arrivo sempre in abbondante anticipo, un po’ perché gli orari ferroviari lo impongono, un po’ perché mi piace aspettare vedere giumgere i frequentanti che, con il passare degli anni, posso affermare, siano divenuti ormai “amici”.
Ci si incontra e la prima domanda che viene posta è “Di cosa parleremo oggi?”, ed io rispondo “Non ve lo dico!”.
E così, un po’ sorridendo e un po’ scherzando, si attende l’ora di inizio e, mentre si è l’, davanti alla sede, alcuni semplicemente salutano ed entrano ed altri mi raccontano le loro osservazioni e sensazioni, sulla politica, su Monfalcone, sul Mondo.
E poi, al momento opportuno, mi sposto anch’io, e dopo il breve tragitto nel piccolo corridoio, entro in sala e la vedo piena di gente, anzi, di amici.
Non è stata una scelta a caso quella di aver impostato un corso di contenuti notoriamente complessi come, ad esempio, il diritto costituzionale, o la scienza politica, o l’economia e la finanza, o la sociologia o la storia, in una modalità colloquiale.
Parlare assieme sui temi e gli argomenti che ci coinvolgono, che seguiamo e che sentiamo dire alla televisione, sui giornali, su internet.
Sì parlare e parlare assieme. Dialogare in un momento storico in cui si tende a comunicare sempre meno.
Il tema del giorno diviene lo “strumento” per rompere il ghiaccio, per iniziare un confronto, un vero e proprio dibattito dove tutti hanno la possibilità di dire cosa ritengono, cosa pensano.
Non è facile parlare di politica, neanche a casa propria. Un argomento addirittura, in certe occasioni, da evitare. E non è facile far parlare di politica gli altri e, devo dire, quando gli appuntamenti si concludono, sono sempre molto soddisfatto e… tiro un respiro di sollievo!
Ma quello che maggiormente ti dà soddisfazione sentire, da parte delle persone, continuare a dibattere dopo che l’ora si è conclusa, .
Questo è il significato del percorso: essere diventati “amici” nel senso che quelle barriere che normalmente si interpongono tra sconosciuti, cadono e lasciano lo spazio alla libertà delle relazioni interpersonali.
Infatti se è vero che le Università della Terza Età sono luoghi di formazione, è altrettanto vero che sono anche luoghi in cui è la socializzazione, o, più semplicemente, la voglia di stare assieme, l’elemento su cui si fondano queste strutture.
Questa esperienza a Monfalcone mi ha dato la gratificazione non solo di aver realizzato un progetto ma anche di essere stato coinvolto anch’io in un cammino di amicizia.
Ora, quando vengo a Monfalcone, camminando lungo viale San Marco, mi capita di incontrare qualcuno e il saluto, il sorriso e il commento su come va il Mondo, non mancano mai.
Sono passati trenta anni dalla nascita dell’Ute del Monfalconese ed io la frequento da sei. Ora le prospettive, con la nuova e prestigiosa sede messa a disposizione dal Comune, sembrano segnare una via di ulteriore riconoscimento per questa struttura.
E’ un passo importante ed un altrettanto importante riconoscimento nel ruolo e significato.
Una Associazione con la “A” maiuscola, che è ormai un punto di riferimento e di orientamento per l’intera comunità del Monfalcone se, per quella componente della popolazione che supera i sessantacinque anni, definita come terza età. Trenta anni di esperienza e di esperienze, di lezioni, di corsi, di vera e propria lotta contro l’analfabetismo informatico derivante dalla troppo rapida evoluzione dei sistemi tecnologici. Trenta anni di un luogo di aggregazione, di socializzazione, di semplice divertimento dove al burraco ed al ballo, si aggiungono gite e pranzi.
Tutto questo, così, semplicemente, senza troppe pretese o ambizioni e, soprattutto, attraverso il lavoro volontario di validi insegnanti e di un Consiglio Direttivo di grande qualità.
Voglio inoltre ricordare quella che per me è la figura di riferimento: la Signora Luciana Ceriani, Direttrice dei corsi che, sempre presente, sa cogliere le effettive esigenze nei momenti giusti per poi fornire le soluzioni, le risposte e l’organizzazione adatta ed idonea.
Anch’io, in particolare, sento di aver portato un piccolo contributo con le mie teorie sulla socializzazione attraverso la formazione, di aver formito adeguati contenuti sulla scienza politica e, come detto, la mia soddisfazione derivante dal risultato ottenuto, è stata semplicemente… gratificante.

 

NOTA: l’immagine in questo post è opera di Biagio Mannino.