
(di Biagio Mannino)
Chi lo avrebbe mai detto?
Trovarsi, in poco più di due settimane, da spettatori, comodamente seduti sul divano di casa, che guardavano alla TV i servizi giornalistici sull’epidemia di Corona Virus in Cina, a protagonisti delle scelte che, di fatto, limitano le nostre libertà ma finalizzate a garantirle in un futuro speriamo non troppo lontano.
Dal divano degli osservatori a quello degli osservati, guardare e adesso guardati, chiusi nelle nostre case, chi più, chi meno, per un periodo non quantificabile, per un risultato sperato ma non garantito.
Guardati da chi, tra poco, sarà a sua volta guardato, perché quell’epidemia venuta da lontano, da molto lontano, ha fatto prendere coscienza che poi, alla fine, il mondo non è così grande.
Strana la sensazione di capire improvvisamente che, prima, si aveva tutto, e, dopo, rendersi conto come questo tutto sia veramente poco e fragile, che, come nel tempo di un battito di ciglia, si possa ritornare a non avere più niente.
I nuovi valori e principi si scontrano contro quei diritti inalienabili per cui i nostri padri avevano lottato e lottato duramente a costo della libertà più grande: la vita.
L’aperitivo diviene il surrogato del concetto di poter essere, di poter fare, e l’individualismo, dominante sempre di più, diviene nel tempo il principio fondamentale dell’apparente senso di realizzazione democratica.
Mal si concilia, però, nel momento in cui quell’individualismo deve la sua esistenza all’appartenenza ad una collettività, che in modo inconsapevole, ne rende il senso stesso della sua esistenza.
Quell’aperitivo esiste perché c’è chi lo rende possibile.
Il diritto, così fondamentale, così importante, così presente nel nostro immaginario collettivo, così presente nelle parole di tutti e, anche, così abusato, c’è perché ad esso si contrappone quel principio sempre un po’ ostico da accettare, ovvero il dovere.
Non c’è diritto senza dovere.
L’estensione da tutta Italia delle regole applicate alla zona rossa, implicano dei doveri per garantire i diritti.
Occorre un forte senso di appartenenza al gruppo sociale, che non si chiama però Italia, che non si chiama Cina, che non si chiama Europa ma, semplicemente, si chiama mondo, anzi, Mondo!
In una società globalizzata, dove il sistema basato sul consumismo garantisce , al momento, la sopravvivenza del sistema stesso, il concetto di confine è quanto mai insignificante nel momento in cui, quegli elementi utili alla sua realizzazione, di fatto, confini non ne hanno.
E così il crollo delle Borse mondiali non guarda alle bandiere, il panico dei popoli porta a rifugiarsi là dove si può, le epidemie dilagano senza che alcuna sbarra, passaporto o visto possa, in qualche modo, trattenerle al di là del… confine.
Parlare di Stati in queste situazioni è quanto mai relativo, parlare di unione di intenti, d’obiettivi, di salvaguardia dei diritti inalienabili e di doveri per realizzarli, è quanto mai auspicabile.
Il diritto alla salute, così importante, così prezioso, così scontato, così dimenticato quando, come in Italia, se ne beneficia al punto di potersi permettere di non rendersi conto che, la Costituzione Italiana, la tanto criticata Costituzione Italiana, lo garantisce in modo assoluto, ma, la Costituzione formale viaggia su strade diverse da quella materiale e, alla fine, trova a scontrarsi con la realtà oggettiva dei fatti, ovvero la possibilità di renderlo effettivo per tutti.
La velocità di diffusione del Corona Virus, le caratteristiche dello stesso, la necessità di cure impegnative, rendono il sistema sanitario potenzialmente a rischio di blocco.
Allora quel diritto si scontra contro la possibilità di renderlo garantito a tutti e necessita del dovere collettivo.
Il dovere ci riporta da quel principio individualistico ad una visione di appartenenza sociale ad un gruppo, da un sacrificio finalizzato a noi stessi ad uno finalizzato a tutti per, nuovamente, garantire a noi stessi di sopravvivere.
Il gruppo come strumento di salvaguardia dell’individuo, gli individui come parte unica del tutto.
Ma non possiamo guardare al percorso di risoluzione del problema se, contemporaneamente, non concepiamo che anche “gli altri” fanno parte del tutto.
Individui, quindi, di una società globale, che trasforma il momento di crisi in uno di opportunità, che capiscono di cogliere l’occasione per uscire da questa esperienza ricchi di aver provato quella paura che permette di vedere le cose in modo diverso, che permette di impostare il cammino collettivo degli uomini e non il piccolo sentiero del singolo uomo.
Alla fine, però, il dubbio resta: quell’aperitivo, dopo, sopravviverà al Corona Virus?
Trovarsi, in poco più di due settimane, da spettatori, comodamente seduti sul divano di casa, che guardavano alla TV i servizi giornalistici sull’epidemia di Corona Virus in Cina, a protagonisti delle scelte che, di fatto, limitano le nostre libertà ma finalizzate a garantirle in un futuro speriamo non troppo lontano.
Dal divano degli osservatori a quello degli osservati, guardare e adesso guardati, chiusi nelle nostre case, chi più, chi meno, per un periodo non quantificabile, per un risultato sperato ma non garantito.
Guardati da chi, tra poco, sarà a sua volta guardato, perché quell’epidemia venuta da lontano, da molto lontano, ha fatto prendere coscienza che poi, alla fine, il mondo non è così grande.
Strana la sensazione di capire improvvisamente che, prima, si aveva tutto, e, dopo, rendersi conto come questo tutto sia veramente poco e fragile, che, come nel tempo di un battito di ciglia, si possa ritornare a non avere più niente.
I nuovi valori e principi si scontrano contro quei diritti inalienabili per cui i nostri padri avevano lottato e lottato duramente a costo della libertà più grande: la vita.
L’aperitivo diviene il surrogato del concetto di poter essere, di poter fare, e l’individualismo, dominante sempre di più, diviene nel tempo il principio fondamentale dell’apparente senso di realizzazione democratica.
Mal si concilia, però, nel momento in cui quell’individualismo deve la sua esistenza all’appartenenza ad una collettività, che in modo inconsapevole, ne rende il senso stesso della sua esistenza.
Quell’aperitivo esiste perché c’è chi lo rende possibile.
Il diritto, così fondamentale, così importante, così presente nel nostro immaginario collettivo, così presente nelle parole di tutti e, anche, così abusato, c’è perché ad esso si contrappone quel principio sempre un po’ ostico da accettare, ovvero il dovere.
Non c’è diritto senza dovere.
L’estensione da tutta Italia delle regole applicate alla zona rossa, implicano dei doveri per garantire i diritti.
Occorre un forte senso di appartenenza al gruppo sociale, che non si chiama però Italia, che non si chiama Cina, che non si chiama Europa ma, semplicemente, si chiama mondo, anzi, Mondo!
In una società globalizzata, dove il sistema basato sul consumismo garantisce , al momento, la sopravvivenza del sistema stesso, il concetto di confine è quanto mai insignificante nel momento in cui, quegli elementi utili alla sua realizzazione, di fatto, confini non ne hanno.
E così il crollo delle Borse mondiali non guarda alle bandiere, il panico dei popoli porta a rifugiarsi là dove si può, le epidemie dilagano senza che alcuna sbarra, passaporto o visto possa, in qualche modo, trattenerle al di là del… confine.
Parlare di Stati in queste situazioni è quanto mai relativo, parlare di unione di intenti, d’obiettivi, di salvaguardia dei diritti inalienabili e di doveri per realizzarli, è quanto mai auspicabile.
Il diritto alla salute, così importante, così prezioso, così scontato, così dimenticato quando, come in Italia, se ne beneficia al punto di potersi permettere di non rendersi conto che, la Costituzione Italiana, la tanto criticata Costituzione Italiana, lo garantisce in modo assoluto, ma, la Costituzione formale viaggia su strade diverse da quella materiale e, alla fine, trova a scontrarsi con la realtà oggettiva dei fatti, ovvero la possibilità di renderlo effettivo per tutti.
La velocità di diffusione del Corona Virus, le caratteristiche dello stesso, la necessità di cure impegnative, rendono il sistema sanitario potenzialmente a rischio di blocco.
Allora quel diritto si scontra contro la possibilità di renderlo garantito a tutti e necessita del dovere collettivo.
Il dovere ci riporta da quel principio individualistico ad una visione di appartenenza sociale ad un gruppo, da un sacrificio finalizzato a noi stessi ad uno finalizzato a tutti per, nuovamente, garantire a noi stessi di sopravvivere.
Il gruppo come strumento di salvaguardia dell’individuo, gli individui come parte unica del tutto.
Ma non possiamo guardare al percorso di risoluzione del problema se, contemporaneamente, non concepiamo che anche “gli altri” fanno parte del tutto.
Individui, quindi, di una società globale, che trasforma il momento di crisi in uno di opportunità, che capiscono di cogliere l’occasione per uscire da questa esperienza ricchi di aver provato quella paura che permette di vedere le cose in modo diverso, che permette di impostare il cammino collettivo degli uomini e non il piccolo sentiero del singolo uomo.
Alla fine, però, il dubbio resta: quell’aperitivo, dopo, sopravviverà al Corona Virus?
