di Biagio Mannino – Giornalista – iscritto all’ODG FVG – esperto di politica internazionale e analisi della comunicazione).
Cari lettori, a distanza di una settimana dalla pubblicazione del primo post dedicato alla riforma costituzionale 2016, vi presento oggi la seconda parte di questo percorso a tappe verso il referendum confermativo il quale, come ben saprete, non ha ancora una data definita. Si parlava di ottobre, adesso di novembre.
Nella puntata precedente ci siamo posti alcune domande, per così dire, di base.
Oggi parleremo delle motivazioni che spinsero i Padri Costituenti a scrivere il testo tuttora vigente, pur con qualche modifica apportata nel tempo, e le motivazioni che hanno spinto il PD ed il Nuovo Centro Destra, con l’appoggio anche di altri, a modificarlo radicalmente nella sua seconda parte.
Il 1946 rappresenta, per la storia italiana, un punto di svolta.
L’esito del referendum trasformò l’Italia da una Monarchia in una Repubblica in un momento storico dove le ideologie politiche erano fortemente divergenti e la conclusione della seconda guerra mondiale lasciava un’Europa distrutta in un sostanziale terreno di ipotetiche e possibili contrapposizione tra quelli, che poi, sarebbero divenuti i due blocchi storicamente riconosciuti: l’ovest, sotto l’egemonia degli USA e l’est sotto quella dell’URSS.
In definitiva la guerra fredda trovava in Berlino la sua immagine e nella Cortina di Ferro, che, come diceva Churchill, scendeva da Stettino sul Baltico a Trieste sull’Adriatico, la sua concretizzazione.
In questo caotico scenario quegli uomini e quelle donne, eletti il 2 giugno 1946, si trovarono a lavorare assieme, con ideologie ed appartenenze politiche assolutamente differenti con un solo obiettivo: mai più come prima, dove per “prima” si intendeva l’esperienza fascista.
La nuova Italia doveva garantire sì i doveri dei cittadini ma soprattutto tutti quei diritti che il regime autoritario e la condizione monarchica, aveva precedentemente caratterizzato la vita degli italiani.
Se l’art. 1 al I comma, sottolinea con forza che “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, il II comma dice che “La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Di conseguenza il principio di Res Pubblica trova un rafforzativo nel concetto di democrazia e ulteriormente evidenziato dall’appartenenza della sovranità al popolo. Il tutto recitato dall’art. 1 come in una sorta di apertura del testo costituzionale.
La Costituzione tutela tutti e i diritti di tutti proprio per opporsi al tragico recente passato ed entrare in un percorso nuovo.
Ma la garanzia di democraticità è data anche dal funzionamento dello Stato che deve consentire la partecipazione dei cittadini in tutti i suoi settori incluso quello politico.
Il voto diviene lo strumento primo nell’esercizio di questo diritto e la garanzia è data dall’equilibrio in cui gli organi dello Stato si trovano ad essere, ad incominciare proprio dal… bicameralismo perfetto.
E’ il bicameralismo perfetto ad essere la tutela del controllo di quello che è, non dimentichiamolo, l’istituzione sovrana, dotata del potere legislativo e di quello di consentire all’esecutivo, il Governo, appunto, di governare.
Il Parlamento si auto controlla attraverso il bicameralismo perfetto e consente o meno al Governo di Governare: un equilibrio tra poteri.
Il 1989, così come il 1946, rappresenta una svolta nel panorama politico globale.
Il 9 novembre 1989, sotto i colpi dei picconi del popolo tedesco, quel muro, il muro di Berlino, simbolo della divisione europea post seconda guerra mondiale, crolla ed apre la via non solo a quella che diverrà l’Unione Europea, ma alla completa ridistribuzione dei punti di equilibrio nel contesto globale.
Non più USA ed URSS ma USA, Russia, UE, Cina, Giappone, India.
Un contesto dove è la finanza a diventare egemonica a tal punto da far riflettere sull’effettiva concretezza della forza delle sovranità degli Stati e il caso Grecia ci invita a riflettere.
In un contesto globalizzato anche gli Stati si trovano nella necessità di doversi modernizzare, o quanto meno attrezzare ad affrontare le sfide del nuovo millennio.
Il punto interrogativo è rappresentato proprio dalle Costituzioni poiché in molti casi si rivelano più un ostacolo che un vantaggio difronte all’energica capacità del business internazionale.
In Italia si discute e si discute molto sull’opportunità di affrontare un rinnovamento del testo costituzionale al fine di renderlo più agile.
Tuttavia il cittadino deve essere consapevole di cosa significhi modificare una Costituzione in nome di una competitività internazionale e, inoltre, se le modifiche apportate vadano in quella direzione.
Molte sono le considerazioni dei promotori del SI alla riforma. Tutte però non forniscono alcun senso di soddisfazione ma portano ad una sorta di minimo appagamento di fronte al cambiamento: purché si cambi… va bene tutto.
Attenzione però che, una volta cambiata, il ritorno indietro non è possibile e i vantaggi o gli svantaggi non sono assolutamente assicurati.
Non dimentichiamo che… nulla è gratis!
Nella puntata precedente ci siamo posti alcune domande, per così dire, di base.
Oggi parleremo delle motivazioni che spinsero i Padri Costituenti a scrivere il testo tuttora vigente, pur con qualche modifica apportata nel tempo, e le motivazioni che hanno spinto il PD ed il Nuovo Centro Destra, con l’appoggio anche di altri, a modificarlo radicalmente nella sua seconda parte.
Il 1946 rappresenta, per la storia italiana, un punto di svolta.
L’esito del referendum trasformò l’Italia da una Monarchia in una Repubblica in un momento storico dove le ideologie politiche erano fortemente divergenti e la conclusione della seconda guerra mondiale lasciava un’Europa distrutta in un sostanziale terreno di ipotetiche e possibili contrapposizione tra quelli, che poi, sarebbero divenuti i due blocchi storicamente riconosciuti: l’ovest, sotto l’egemonia degli USA e l’est sotto quella dell’URSS.
In definitiva la guerra fredda trovava in Berlino la sua immagine e nella Cortina di Ferro, che, come diceva Churchill, scendeva da Stettino sul Baltico a Trieste sull’Adriatico, la sua concretizzazione.
In questo caotico scenario quegli uomini e quelle donne, eletti il 2 giugno 1946, si trovarono a lavorare assieme, con ideologie ed appartenenze politiche assolutamente differenti con un solo obiettivo: mai più come prima, dove per “prima” si intendeva l’esperienza fascista.
La nuova Italia doveva garantire sì i doveri dei cittadini ma soprattutto tutti quei diritti che il regime autoritario e la condizione monarchica, aveva precedentemente caratterizzato la vita degli italiani.
Se l’art. 1 al I comma, sottolinea con forza che “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, il II comma dice che “La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Di conseguenza il principio di Res Pubblica trova un rafforzativo nel concetto di democrazia e ulteriormente evidenziato dall’appartenenza della sovranità al popolo. Il tutto recitato dall’art. 1 come in una sorta di apertura del testo costituzionale.
La Costituzione tutela tutti e i diritti di tutti proprio per opporsi al tragico recente passato ed entrare in un percorso nuovo.
Ma la garanzia di democraticità è data anche dal funzionamento dello Stato che deve consentire la partecipazione dei cittadini in tutti i suoi settori incluso quello politico.
Il voto diviene lo strumento primo nell’esercizio di questo diritto e la garanzia è data dall’equilibrio in cui gli organi dello Stato si trovano ad essere, ad incominciare proprio dal… bicameralismo perfetto.
E’ il bicameralismo perfetto ad essere la tutela del controllo di quello che è, non dimentichiamolo, l’istituzione sovrana, dotata del potere legislativo e di quello di consentire all’esecutivo, il Governo, appunto, di governare.
Il Parlamento si auto controlla attraverso il bicameralismo perfetto e consente o meno al Governo di Governare: un equilibrio tra poteri.
Il 1989, così come il 1946, rappresenta una svolta nel panorama politico globale.
Il 9 novembre 1989, sotto i colpi dei picconi del popolo tedesco, quel muro, il muro di Berlino, simbolo della divisione europea post seconda guerra mondiale, crolla ed apre la via non solo a quella che diverrà l’Unione Europea, ma alla completa ridistribuzione dei punti di equilibrio nel contesto globale.
Non più USA ed URSS ma USA, Russia, UE, Cina, Giappone, India.
Un contesto dove è la finanza a diventare egemonica a tal punto da far riflettere sull’effettiva concretezza della forza delle sovranità degli Stati e il caso Grecia ci invita a riflettere.
In un contesto globalizzato anche gli Stati si trovano nella necessità di doversi modernizzare, o quanto meno attrezzare ad affrontare le sfide del nuovo millennio.
Il punto interrogativo è rappresentato proprio dalle Costituzioni poiché in molti casi si rivelano più un ostacolo che un vantaggio difronte all’energica capacità del business internazionale.
In Italia si discute e si discute molto sull’opportunità di affrontare un rinnovamento del testo costituzionale al fine di renderlo più agile.
Tuttavia il cittadino deve essere consapevole di cosa significhi modificare una Costituzione in nome di una competitività internazionale e, inoltre, se le modifiche apportate vadano in quella direzione.
Molte sono le considerazioni dei promotori del SI alla riforma. Tutte però non forniscono alcun senso di soddisfazione ma portano ad una sorta di minimo appagamento di fronte al cambiamento: purché si cambi… va bene tutto.
Attenzione però che, una volta cambiata, il ritorno indietro non è possibile e i vantaggi o gli svantaggi non sono assolutamente assicurati.
Non dimentichiamo che… nulla è gratis!