L’Italia verso il referendum (parte 6): la paura fa… dire SI.

(di Biagio Mannino – Giornalista  – iscritto all’ODG FVG – esperto di politica internazionale e analisi della comunicazione).
Nella scorsa puntata abbiamo analizzato alcuni aspetti di tipo comunicativo che, in particolare, si riferiscono sostanzialmente alla “vendita” del prodotto, ovvero, in questo caso, del “SI” o del “NO” alla riforma costituzionale.
Un altro metodo comunicativo fa ricorso alle sensazioni profonde, al sentimento nascosto che ci  induce poi a prendere decisioni, anche opposte al nostro punto di vista ma che se, ben gestito, ci porta nella direzione di  scelte volute… da altri.
Questo sentimento è… la paura.
Nei meccanismi comunicativi in ambito elettorale il messaggio tende ad essere estremamente semplificato poiché si parte dal presupposto che l’elettore non capisca o che, in ogni caso, non gradisca i “tecnicismi”.
Lo stesso termine “tecnicismi” è utilizzato proprio da coloro che, al contrario, dovrebbero spiegare nel merito i contenuti e, nel nostro caso, della riforma costituzionale.
Poiché il mezzo per eccellenza di comunicazione resta ancora oggi la televisione, esso non permette di ribattere a considerazioni fatte dagli esperti della materia. Ci si trova in un caso chiamato anche di “comunicazione ad una via” dove uno lancia un messaggio e l’altro lo recepisce senza però poter controbattere, esprimere opinioni, chiedere approfondimenti, dissentire.
Sebbene i social network intervengano in questa direzione, la loro diffusione è ancora troppo ridotta e, soprattutto non diffusa ad un pubblico in età avanzata.
Se poi teniamo conto che l’Italia è lo Stato più anziano del mondo… il risultato lo comprendiamo bene.
La paura diviene così l’elemento più semplice per convincere senza spiegare.
E così si incomincia a paragonare un’eventuale vittoria del “NO” alla Brexit dove le cose più drammatiche accadrebbero e rappresenterebbero un vero e proprio disastro… per l’Europa!
Distinguiamo le cose: la Brexit ha rappresentato l’interruzione di un percorso iniziato con un ampio numero di componenti, ovvero gli Stati membri dell’Unione Europea.
Un eventuale successo dei “NO” non comporterebbe alcuna modifica ad alcun percorso poiché, al massimo, tutto resterebbe come prima.
In questo caso il senso della paura punta a paragonare un evento, quello Britannico, che sicuramente ha avuto ed avrà ripercussioni (leggi su questo blog Effetto Brexit e Effetto Brexit 2), ma che nulla ha a che vedere con un percorso di modifica di una legge interna di un Stato.
La paura porta alla comparazione e gli interrogativi sui contenuti… passano.
Un altro elemento tocca in particolare le Regioni a Statuto Speciale: se la riforma non dovesse passare, si dice, il principio di autonomia sarebbe messo in discussione.
Nuovamente la paura, questa volta, di perdere qualche cosa. Ma… come si fa a perdere la specialità se la Costituzione non dovesse essere modificata?
Come si fa a perdere lo status se lo status resta quello di prima?
Il messaggio comunicativo, lanciato qualche mese addietro da parte del Presidente del Consiglio Matteo Renzi, di lasciare incarico e politica in caso di insuccesso, colloca, anche questo, nel contesto comunicativo della paura.
I simpatizzanti, convinti o meno della validità della riforma, restano basiti all’ipotesi di perdere il leader e la domanda che si sente spesso è “Se non lui… chi?”.
L’Italia è una Repubblica di tipo parlamentare e non di tipo presidenziale. Questo implica che al centro non c’è “l’uomo” ma le istituzioni e, quindi, la personalizzazione dei processi politici non si inserisce nel contesto giuridico costituzionale italiano.
Infatti il Presidente del Consiglio italiano non è né un Premier né un Primo Ministro.
L’impressione è che, nel corso della campagna referendaria, sentiremo  poco parlare di contenuti e molto di conseguenze presunte.
Torniamo a porre il quesito con il quale ci siamo salutati la volta precedente: per favore, esperti televisivi, potreste spiegare i contenuti della riforma costituzionale? Non vi preoccupate dei “tecnicismi: gli italiani ci sono abituati…
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